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Augusto Del Noce (1910 – 1989)

 

«Certo i cattolici hanno un vizio maledetto: pensare alla forza della modernità e ignorare come questa modernità, nei limiti in cui pensa di voler negare la trascendenza religiosa, attraversi oggi la sua massima crisi, riconosciuta anche da certi scrittori laici». (A. DEL NOCE, da Risposte alla scristianità, Il Sabato, 7 giugno 1985)

 

Preambolo della Redazione di Regina Equitum

Augusto Del Noce (1910 – 1989) è stato un politologo, filosofo e politico italiano. Titolare della cattedra di “Storia delle dottrine politiche” all’Università La Sapienza di Roma, studioso del razionalismo cartesiano e del pensiero moderno, analizzò le radici filosofiche e teologiche della crisi della modernità, ricostruendo con cura le contraddizioni interne dell’immanentismo. Argomentò l’incompatibilità tra marxismo, umanesimo, ed altri sistemi di pensiero che propugnavano la liberazione secolare dell’uomo e la dottrina cristiana. Sostenne tenacemente, per tali motivi, l’impossibilità del dialogo tra cattolici e comunisti e previde il “suicidio della rivoluzione”. Studioso del fascismo, sostenne che tale ideologia fosse peraltro in continuità con il comunismo e fosse anch’esso un momento della secolarizzazione della modernità. Sostenne, inoltre, l’esistenza di molti punti di contatto tra il fascismo e il pensiero dei sessantottini.

Celebri le frasi che ben danno il polso del suo pensiero: «I cattolici progressisti si sentono spesso più vicini ai progressisti non cattolici, che ai cattolici non progressisti»; ovvero pure: «L’antifascismo non è il contrario del fascismo, ma il fascismo all’incontrario», le quali certamente spiegano la condanna al silenzio della sua opera, nonché l’emarginazione e la messa al bando a cui fu sottoposto fuori dai circoli politici e culturali ufficiali.

Filosofo della politica, preconizzò la crisi del socialismo reale, mentre esso viveva la sua massima espansione a livello mondiale. Argomentò che tale sistema, da una parte applicava coerentemente la filosofia di Marx, ma dall’altra negava le premesse del marxismo: ciò in quanto – mostrava Del Noce – lo stesso sistema di Marx si basava sulla contraddizione tra dialettica e materialismo storico. Ribadiva infine la necessità dei valori di verità e di moralità. 

L’attenzione della Redazione di Regina Equitum per il pensiero di Del Noce vuole tuttavia concentrarsi sui suoi studi relativi al “pensiero politico dantesco”. Del Noce era venuto interessandosi del Dante “politico” a partire dagli anni Settanta[1], allorché, pensando alla Democrazia cristiana di allora, alla commistione di laicismo e clericalismo nella politica dei cattolici, auspicava, alla luce delle riflessioni di Giacomo Noventa, un anticlericalismo di tipo dantesco.

Il Noventa così aveva scritto: «Il clericalismo è il vizio e il pericolo di tutte le religioni e non consiste nell’affermare le necessità del clero, del culto, della confessione, della parola, che tutte le religioni giustamente riconoscono, ma nel proclamarne la sufficienza, […] consiste cioè nell’attribuire al clero l’incarico di essere religioso anche per noi, di difendere la religione anche per noi, e nell’attribuirgli tutti i doveri e tutti i diritti che ne derivano»[2]. Da qui, la trasformazione della realtà religiosa in potenza politica, dinnanzi alla quale si afferma, come reazione, un “anticlericalismo cattolico” che, per Augusto Del Noce, trova in Dante un punto di riferimento essenziale.

Alla luce della crisi e della confusione estrema in cui oramai versano, tutt’oggi, tanto la politica laicista quanto la Chiesa stessa, niente di più profetico può suonare della rievocazione dantesca appunto operata dal Nostro.

Ne traiamo stimolanti spunti riproponendo qui di seguito una scelta di sue citazioni.

 

NOTE

[1] A. DEL NOCE, Dante e il nostro problema meta politico, in L’Europa, V, 30 aprile 1971 (ora in A. DEL NOCE, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, a cura di F. Mercadante, A. Tarantino, B. Casadei,  Milano 1993).

[2] G. NOVENTA, Caffè greco, Firenze 1969, p. 144.

 

FRASI SU DANTE DI AUGUSTO DEL NOCE

  • […] Clericalismo vuol dire politicizzazione del clero coincidente con la debolezza della religione e la perdita di autorità morale del clero stesso, mai forse il fenomeno si è presentato in forma così accentuata e religiosamente così pericoloso; perché tale politicizzazione coincide nelle sue conseguenze ultime con quella che oggi vien detta la concezione “orizzontale”, volta alle realtà terrene, della vita religiosa […]. Ne risulta che, dal punto di vista religioso, c’è oggi bisogno come non mai di un anticlericalismo di tipo dantesco; che del resto fu pensato in tempi in cui si approssimava una crisi religiosa che non è senza analogia con la presente. (A. DEL NOCE, Giacomo Noventa. Dagli errori della cultura alle difficoltà della politica in L’Europa, IV, 7 febbraio 1970. Ora in A. DEL NOCE, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, a cura di F. Mercadante, A. Tarantino, B. Casadei, Milano 1993, pp. 116-117)

 

  • Non è che Dante intenda combattere la cupiditas del clero per salvare l’autonomia dello Stato; invece, “è la lotta contro la cupiditas, l’esigenza di permeare compiutamente di religione la vita pubblica che lo porta alla distinzione degli ordini”. Ossia ancora: il punto centrale del suo pensiero, quello che lo porta a superare così guelfismo come ghibellinismo è “l’intuizione della concordanza tra l’affermazione dell’autonomia dell’Impero, sino allora sostenuta da pensatori eterodossi, e quella della purificazione della Chiesa affermata dagli scrittori spirituali”, il che consuona con quel che il miglior interprete della filosofia di Dante, il Gilson, definisce come il tratto singolare e unico del suo pensiero, irriducibile a qualsiasi fonte. (da Augusto Del Noce, Dante e il nostro problema metapolitico in L’Europa, V, 30 aprile 1971. Ora in A. Del Noce, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, op. cit., p. 323)

 

  • Gilson critica i tentativi di ricondurre la posizione di Dante alla tomista o all’averroista. Per san Tommaso ogni gerarchia di dignità è al tempo stesso una gerarchia di giurisdizione, mentre per Dante – tranne che per Dio – una gerarchia di dignità non è mai fondamento di una gerarchia di giurisdizione, e ciò corrisponde al problema filosofico specifico di Dante, che non è tanto quello di definire l’essenza della filosofia, quanto di determinare delle funzioni e delle giurisdizioni. Il principio a cui obbedisce questa determinazione non è assolutamente conciliabile col tomismo. San Tommaso non conosce che un solo fine ultimo: la beatitudine eterna, che non si può attingere se non attraverso la Chiesa; inoltre la spiritualità del fine ultimo importa che tra il potere temporale e lo spirituale vi sia la subordinazione gerarchica del mezzo al fine. Per Dante, invece, l’uomo può ottenere, attraverso l’esercizio delle virtù politiche, una felicità umana completamente distinta dalla beatitudine celeste, anche se questa rappresenta un fine più alto. La tesi dei “duo ultima” legittima la completa distinzione dell’ordine politico dall’ordine religioso, ugualmente universale a quello della Chiesa, ma autonomo e perseguente un fine di felicità terrena. (da A. DEL NOCE, Gilson Étienne in Enciclopedia dantesca, vol. III, Roma, 1971, p. 33.)

 

  • La gerarchia di dignità non deve essere confusa con la gerarchia di giurisdizione. Tale confusione, lungi dall’essere omaggio all’ordine stabilito da Dio tra le cose, ne è la violazione: ed è essa che permette alla cupiditas, che nel dominio filosofico ha il significato dell’opposto della giustizia, e in quello teologico della volontà pervertita dal peccato, di prevalere. Per cui il riconoscimento dell’autonomia degli ordini è la forma autentica del rispetto all’ordine stabilito da Dio, o alla sovranità di Dio stesso. (da A. DEL NOCE, Dante e il nostro problema metapolitico in L’Europa, V, 30 aprile 1971. Ora in A. DEL NOCE, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, op. cit., p. 324)

 

  • […] che questa confusione della gerarchia di dignità con la gerarchia di giurisdizione sia la via attraverso cui la cupiditas si afferma nel mondo politico e viene a trionfare, è quel che risultava a Dante nella sua diretta esperienza; ed è quel che oggi si è reso manifesto come non mai. La Chiesa, infatti, nella ricerca di dominare completamente il piano temporale non potrà cercare appoggio altrove che nella cupiditas dei laici: e questa fu la condizione a cui dovette obbedire il grande avversario di Dante, Bonifacio VIII, nella sua ricerca di sottoporre gli uomini al “giogo apostolico” in conseguenza del principio che Dio lo aveva posto super reges et regna. (da Augusto Del Noce, Dante e il nostro problema metapolitico in L’Europa, V, 30 aprile 1971. Ora in A. DEL NOCE, Rivoluzione Risorgimento Tradizione, op. cit., p. 324)

 

  • L’originalità di Dante non sta tanto nell’affermazione dell’autonomia dello Stato, ma nella ragione religiosa per cui viene affermata. Questa è la via per l’asserzione della religiosità della politica e del senso religioso della laicità. (da A. DEL NOCE, Quaderno di appunti di lavoro, Fondazione Augusto Del Noce)

 

  • […] l’idea fondamentale di Dante non è la rivendicazione del potere laicale. L’idea è che la lotta contro la cupiditas implica la dualità dei rimedi. (da A. DEL NOCE, Quaderno di appunti di lavoro, Fondazione Augusto Del Noce)

 

  • […] è all’interno della teologia del peccato originale che si intende la reciproca autonomia dell’Impero e della Chiesa. (da A. DEL NOCE, Quaderno di appunti di lavoro, Fondazione Augusto Del Noce)

 

  • L’ideale teocratico ha a suo fondamento non soltanto come si ripete, e sia pure da scrittori illustri e dallo stesso Maritain, il fatto dell’unità di fede; ma la medievale non problematizzazione (almeno non problematizzazione vissuta) della fede in quanto verità. L’ideale teocratico è improponibile oggi, e non soltanto da un punto di vista prudenziale e tenuto conto della situazione di fatto, come pensano troppi teologi e dietro a loro troppi cattolici; ma è improponibile per ragioni ideali e logiche, perché la condizione spirituale dell’età moderna è proprio la problematizzazione della fede in quanto verità (in che modo la verità possa diventare mia verità). L’ideale teocratico non è perciò, almeno a mio modo di vedere, l’ideale assoluto della politica cristiana, ma la sua specificazione in rapporto alla situazione spirituale del Medioevo: quando anche si ricostituisse l’unità di fede, l’ideale teocratico non sarebbe più proponibile, perché si tratterebbe di una ricostruzione dell’unità ulteriore alla sua problematizzazione. (da A. DEL NOCE, Politicità del cristianesimo oggi, in Costume, I, 1946, 1. Ora in Augusto Del Noce e la libertà. Incontri filosofici, p. 199)

 

  • In questi giorni sto scrivendo invece una introduzione alla Monarchia di Dante. È un’opera che ha degli spunti di attualità interessantissimi tra i quali una definizione di “laicità” credo insuperabile. (da Storia di un pensatore solitario, intervista a cura di M. Borghesi e L. Brunelli, in 30Giorni, n.° 4, aprile 1984)