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Gli Ussari Alati e l’assedio di Vienna

 

Gli Ussari Alati erano un reparto di Cavalleria composto esclusivamente da giovani appartenenti alla nobiltà polacca. La particolarità che ha sempre contraddistinto questa unità nella storia militare è data dalla straordinaria serie di successi ottenuti in numerose battaglie, nonostante la superiorità numerica del nemico. Il loro nome derivava dalla impalcatura in legno ornata di penne (di aquila, cigno, oca) assicurata alla corazza, impalcatura che aveva il principale effetto di far sembrare ogni Cavaliere più imponente e maestoso, così da destabilizzare psicologicamente l’avversario. Il sibilo che le penne producevano durante la carica, così come le lunghe lance ricoperte d’oro, i pennoni colorati e le pelli di leopardo o di tigre indossati sulle spalle, dovevano sicuramente terrorizzare il nemico, in quanto tutto l’insieme evocava un’immagine terrificante, come l’apparizione improvvisa di angeli vendicatori. Liberi di scegliere la loro uniforme, i Cavalieri polacchi prediligevano l’uso del colore rosso, in memoria del sangue versato da Gesù, e poiché erano votati alla causa di Maria caricavano con l’urlo di battaglia “Gesummaria”! Tutti questi elementi hanno contribuito a tramandare la formazione degli Ussari Alati come l’unità di Cavalleria più temibile e più affascinante di ogni epoca.

Agli Ussari polacchi spettava il compito di sviluppare un potente attacco per disarticolare le unità nemiche. In genere, si trattava di compatte formazioni di fanteria, o meglio di veri e propri quadrati serrati, irti di picche e protetti dal fuoco dei moschetti, se non quando da quello dei cannoni. Nonostante gli Ussari non disprezzassero assolutamente le armi da fuoco, la loro tattica privilegiata era ancora una carica a lance spiegate, condotta con un impeto irresistibile: i Cavalieri lanciavano i loro cavalli al galoppo con l’obiettivo di distruggere tutto quello che si trovavano davanti. L’arma principale contro la picca era una lancia speciale, nuova nella sua concezione, molto lunga (dai 4,5 metri ai 6) spesso rivestita in oro, bilanciata da una grossa sfera all’impugnatura. Una lancia così lunga era utile per raggiungere i fanti prima che le picche di questi ultimi infilzassero il cavallo (le cronache del tempo sottolineano come, con questa lancia, un singolo Ussaro Alato poteva infilzare fino a 5 fanti nemici contemporaneamente). Inoltre, anche se spezzata, la lancia raggiungeva comunque una lunghezza di un paio di metri, ovvero ancora in grado di provocare gravi ferite. Gli Ussari Alati erano poi equipaggiati con un caratteristico arco dal retaggio orientale, con una sciabola per colpire di taglio durante la carica, uno stocco da usare di punta nella mischia e due pistole infilate nella sella. Avanzavano sempre in formazione serrata, permettendo al reparto di non trovarsi mai in inferiorità numerica rispetto ai picchieri, e con l’impatto violento della carica riuscivano a penetrare la formazione nemica provocandone la perdita di coesione.

Fondati nel 1574 dal sovrano polacco-lituano Stephen Bathory, il grande riformatore dell’armata confederata, gli Ussari Alati vennero sciolti per volontà del parlamento della confederazione nel 1775. Oltre alla lancia, il reparto era dotato di altre armi secondarie, come il martello da guerra, la sciabola e una o due pistole a ruota sistemate in apposite fondine sulla sella. Per circa due secoli, la cavalleria degli Ussari polacchi è stata considerata come la migliore Cavalleria al mondo, sia per l’addestramento dei Cavalieri che per le innovazioni tattiche, ma anche per l’impiego brillante dell’unità in combattimento. I risultati conseguiti sono stati sbalorditivi, come testimoniato dalle vittorie conseguite nelle numerose battaglie sostenute. Tra le più importanti, la battaglia di Kluszyn con la conquista di Mosca nel 1610, quella di Trzciana con la distruzione delle forze di Gustavo Adolfo nel 1629 e la liberazione di Vienna nel 1683. Durante il secolo successivo, con la fine delle picche di fanteria e le nuove dottrine militari, il declino di questa unità fu inevitabile. Il posto degli Ussari polacchi venne preso da una nuova formazione di cavalleria equipaggiata con lance più corte, gli Ulani.

Durante l’assedio turco a Vienna, il loro ingresso in battaglia rappresentò un elemento significativo, e per certi aspetti risolutivo. Oltre l’eroismo dimostrato dai difensori di Vienna, guidati da Ernst von Starhemberg, il colonnello Dupigny tentò una sortita con l’unico reparto di Cavalleria e trenta dei suoi corazzieri rimasero uccisi insieme al loro comandante. Carlo di Lorena e Jan Sobieski, con un esercito di poco più di 70.000 uomini, attaccarono lo schieramento di Kara Mustafà composto indicativamente da 200.000 soldati. Gli imperiali riuscirono in un primo tempo a disperdere le truppe nemiche e prima ancora che avessero il tempo di riorganizzarsi, la carica degli Ussari Alati risolse la battaglia. I Cavalieri alati puntarono direttamente sull’accampamento turco e la sua conquista fece crollare qualunque velleità di resistenza. All’esercito del gran visir non rimase che un’unica via di scampo, quella di una fuga precipitosa.

 

L’assedio di Vienna

 

Jan Sobieski al termine della battaglia di Vienna nella tela di Jean Matejko

Nella primavera del 1683, in piena guerra austro-turca, le forze ottomane del visir Kara Mustafa si dirigevano verso l’Austria, arrivando a porre Vienna in stato d’assedio verso la metà del mese di luglio. Nello schieramento opposto, per un totale di circa 70.000 uomini, le varie forze appartenenti alla Lega Santa: l’esercito polacco-lituano e alcuni stati germanici del Sacro Romano Impero, oltre al Ducato di Mantova, al Granducato di Toscana e alla Repubblica di Venezia (queste ultime al comando di un giovane Eugenio di Savoia, che sarebbe, anni dopo, passato alla storia come uno dei più grandi generali del suo tempo). Dopo più di due mesi d’assedio, nonostante una buona artiglieria, Vienna era allo stremo. Se fosse caduta la capitale austriaca, l’esercito di Kara Mustafa avrebbe potuto continuare indisturbato la propria marcia fino agli stati tedeschi dell’Impero, ancora indeboliti dalla Guerra dei Trent’anni, e poi verosimilmente anche fino a Roma. Intuendo che Vienna sarebbe capitolata nel giro di qualche giorno, l’Imperatore Leopoldo I aveva rapidamente stretto accordi con i cattolicissimi alleati polacchi e con il loro re Jan Sobieski, che si apprestava dunque a marciare in difesa di Vienna.

L’intervento degli Ussari Alati di Jan Sobieski

L’esercito polacco, al quale si erano poi uniti rinforzi imperiali, varcò il Danubio su un ponte di barche il 6 settembre. Il 12 settembre 1683 raggiunse Vienna, fermandosi sul monte Kahlenberg per osservare l’andamento della battaglia, che iniziò all’alba. Nel tardo pomeriggio il Re polacco, preso atto del momento di difficoltà dell’esercito invasore (il cui reparto migliore, composto dai Giannizzeri, era stato erroneamente dispiegato sotto le mura della città, lontano dal centro dello scontro), decise di attaccare dall’alto della collina, piombando con i suoi tremila Ussari Alati sull’esercito ottomano. Su Vienna risuonò la voce di tremila cavalieri polacchi, che urlavano al cielo il loro temibile grido di battaglia: “Gesummaria!”. Racconta un cronista turco presente quel giorno: “Gli infedeli spuntarono sui pendii con le loro divisioni come nuvole di un temporale, ricoperti di un metallo blu. Era come se si riversasse un torrente di nera pece che soffoca e brucia tutto ciò che gli si para innanzi”. Per Kara Mustafa fu l’inizio della fine. I Turchi, travolti dall’impeto dell’assalto, persero 15.000 uomini e, di fatto, la guerra. La sconfitta dell’esercito ottomano ebbe un’importanza storica notevole, segnando di fatto il termine delle mire espansionistiche ottomane in Europa e il ridimensionamento del loro ruolo nei Balcani, nonché la salvezza della cristianità europea. Kara Mustafa pagò con la vita la sconfitta, strangolato a Belgrado pochi mesi dopo per ordine del Sultano Mehmed IV.

Papa Innocenzo XI per ringraziare Maria Santissima della vittoria contro i Turchi, avvenuta tra l’11 e il 12 settembre 1683, proclamò la festa del santissimo Nome di Maria.