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Le Profezie del Grande Monarca e del Papa Santo – prologo (a cura della Redazione)

 

Prologo

Sulla realizzazione e sul senso delle profezie

 

Abbiamo ritenuto opportuno riproporre su Reginaequitum alcune delle già note Profezie relative al tema del Grande Monarca e del Papa Santo. Ciò per alcuni semplici motivi che andremo a far presente, non senza aver però preventivamente operato alcune necessarie precisazioni.

Mentre da un lato resta ferma la necessità del porsi dinnanzi ad ogni argomentazione di carattere “profetico” con la consapevolezza del carattere simbolico che la informa – e quindi con la sufficiente apertura di intellectus necessaria a coglierne pienamente lo “spirito” interno, che è poi ciò che solo vivifica l’apparenza superficiale della “lettera” – d’altro lato bisogna pure ribadire quale sia il vero senso del termine “profezia”.

Presentando attinenza etimologica con il greco προ-φαινω (pro-phàino)[1], il sostantivo “pro-fezia”, prima ancora di significare “ciò che predice il futuro, ciò che annunzia”, in effetti mantiene in sé più propriamente il senso di “ciò che mostra, fa vedere, indica, fa comprendere, rende noto, svela”.

Solo riduttivamente il “profeta” è dunque un “indovino”: colui che “predice il futuro”. In verità egli è più propriamente “colui per mezzo del quale parla lo Spirito Santo”[2]: il “portavoce di Dio”. La sua preghiera è “un ascolto della parola di Dio”[3]! Il profeta è un “educatore alla fede ed alla conversione”[4], intese come un “convergere” ed un “volgersi” verso l’Unico vero Dio[5].

Tale stretta relazione profezia-fede è peraltro espressa da S. Paolo allorché dice: «Abbiamo pertanto charismi diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi. Chi ha il dono della profezia la eserciti secondo la corrispondenza (= αναλογιαν) della fede»[6].

Ed altrove: «Quindi le lingue servono di segno non per i credenti, ma per i non credenti; la profezia, invece, serve di segno non per i non credenti, ma per i credenti»[7].

In certa qual maniera, dunque, la pro-fezia è legata alla “pro-fessione di fede”, che sempre S. Paolo esprime con una significativa parola: ομολογια (omologhìa); la quale, tradotta alla lettera, significa “in conformità con il Logos”, e che presenta pertanto palese affinità semantica anche con la suddetta parola “corrispondenza (analoghìa) della fede”.

L’atto della pro-fessio, allorché ne valutiamo per il momento il termine in latino, richiama innanzitutto gli ambiti di significato dei seguenti verbi:

  1. a) pro-fiteor : dichiarare, riconoscere, confessare apertamente / impegnarsi, promettere, offrirsi
  2. b) pro-fateor : confessare, riconoscere, ammettere, indicare / manifestare, mostrare, far conoscere
  3. c) pro-for : dire, parlare, rispondere / predire, vaticinare, profetare

In alcuni dei significati notiamo subito il chiaro e reiterato palesarsi della componente che attiene propriamente, in senso generico, alla “parola”, cioè al “dire” umano: “dichiarare, dire, parlare”.

In altri viene invece specificata una componente “verticale-recettiva”: “riconoscere, rispondere”; componente questa che, in altri significati ancora, si converte in una “orizzontale-ritrasmissione”: “confessare apertamente, impegnarsi, promettere, offrirsi, ammettere, indicare, manifestare, mostrare, far conoscere”.

A margine, infine, si evidenzia un dato più specifico – nonché marginale – dell’attività di quel “dire ricevente e ritrasmettente”, quale è quello del “predire, vaticinare, profetare”.

Da quanto rilevato diviene immediatamente apprezzabile il dato che il “profeta”, colui che esercita in senso pieno la professio di fede, è innanzitutto colui che (e con ciò torniamo alla traduzione in greco della medesima) si pone in un contesto di completa – ed analogica – omologhia, ossia di “totale ed analogica conformità con il Logos”: che è poi il Verbo, la Parola. E’ proprio questo, condotto al sommo grado, ciò che costituisce il charisma profetico.

La sua testimonianza-confessione è allora un pieno “parlare del Logos” (genitivo soggettivo), attuato cioè da parte del Logos attraverso di lui. Come dice S. Giustino: “I profeti non hanno parlato per mezzo di dimostrazioni; al di sopra di ogni dimostrazione essi erano testimoni della verità[8]!

 

Si potrebbe a questo punto provare a precisare ancor più quale sia il connotato ontologico proprio della “profezia” osservando che il verbo pro-phaino possiede una diretta relazione con i sostantivi φανη (phané) e φαος (phàos), i quali traducono rispettivamente “face, torcia” e “luce, luce vitale” (e, per traslato, “luce di salvezza, gloria, vittoria”).

Il carattere “omologhico” della profezia è dunque riconfermato dal fatto che è proprio della sua verità il costituirsi quale piena ed analogica “conformità con il Logos”, il Quale notoriamente rappresenta, per l’appunto, la vera Luce del mondo[9].

Dal canto suo il profeta, che della profezia è il veicolo, non fa altro che accogliere e realizzare al meglio l’invito del Signore a diventare lui stesso “luce del mondo”, per farla così risplendere davanti agli uomini per la gloria di Dio[10]. Il profeta diviene insomma il riflesso vivente della Luce del Cristo stesso[11], purché si renda disponibile a rendersi analogicamente conforme con il Logos, tramite un atto di co-rispondenza esercitato con e dalla propria fede.

Questo significa pure che tanto come un essere umano, in generale, così come il profeta, in particolare, ogni fedele esplica la propria libertà di scelte, il proprio libero arbitrio, non indipendentemente dall’Assoluto ontologico che E’ Dio[12], ma conservando, ad ogni modo, una certa autonoma libertà nel suo proprio livello di partecipazione ontologica, che si esplica – o potrebbe anche non esplicarsi – in analogia e con conformità.

Per dirla altrimenti: la grazia di Dio è ciò che primariamente agisce, è l’unica e vera attività, è Atto Puro. Da parte sua, la scelta umana di conformarsi con il Logos è invece attività in subordine, cioè tale soltanto nella misura di un suo analogico e volontario conformarsi con l’Azione divina. L’atto umano non è valido ed efficace in sé stesso, ma soltanto nella misura in cui esso si innesca analogicamente con l’Atto divino. Quando l’attività umana di adesione ed innesco entro il Logos è al suo massimo grado, abbiamo la profezia, la perfetta illuminazione orizzontale in quanto diretta e pura ritrasmissione dell’illuminazione verticale.

 

Da tutto questo preambolo – e con questo ci avviciniamo al dunque –  si evince in definitiva che la profezia non si rapporta prioritariamente alla dimensione storico-temporale, proiettandosi con definitività orizzontale nella mera predizione del futuro, che oltretutto stabilisca un ben determinato ed individuabile giorno-mese-anno (a prescindere dal fatto che tale momento calendariale rimarrà sempre e comunque sconosciuto all’uomo, oltre che per lui imprevedibile)[13].

Piuttosto, la dimensione della profezia è verticale, giacché meta-temporale, meta-storica. Ciò non significa, allora, che essa sia a-temporale (che è ben altra cosa), ossia che non si attuerà mai nel corso futuro della storia, dentro il tempo calendaristicamente suddiviso. Come la grazia del Logos è sempre attivamente disponibile nella propria dimensione ontologica di eternità, parimenti l’attuarsi della profezia è sempre in attesa di potersi realizzare nel tempo. Solo che se questo suo attuarsi non può essere fissato dall’uomo “nel” futuro, è proprio e precisamente perché esso non deve essere fissato “come” futuro. E questo vale tanto per la Profezia escatologica relativa alla Parousia nel senso del suo compimento completo e definitivo, quanto per le Profezie più particolari ed intermedie, quali sono ad esempio anche quelle relative al tema del Grande Monarca e del Papa Santo.

 

Una migliore e più immediata comprensione di tutta la questione potrebbe intervenire ricordando i passaggi di Apocalisse in cui il Logos, il Verbo, la Parola (che non a caso si autodefinisce l’Alpha e Omega) ci dice che Egli è “Colui che era, che è e che viene[14]. Nell’affermare di non essere “Colui che sarà”, bensì di essere “Colui che viene”, si implica che la Sua Parousia è sempre potenzialmente riconoscibile e quindi realizzabile in ogni momento: a cominciare già da ogni storico spazio-temporale hic et nunc.

Vi è a questo punto un dettaglio molto importante di cui dover tener conto: e cioè che se al fedele non appartiene il potere di sapere quando ciò accada, tuttavia egli può in certo qual modo “accelerarne” il compimento, semplicemente approntandosi in anticipo. L’approntamento in questione non è altro che il posizionamento entro una condizione di “pienezza” all’interno del tempo orizzontale, una volta guadagnato il quale ci si trova così posti in corrispondenza della verticalità meta-temporale ed in essa proiettati.

La parabola delle “vergini savie e stolte”[15] è emblematica in tal senso: le 5 vergini savie sono immagine di coloro che si fanno trovar pronti all’arrivo dello Sposo, con la sufficiente quantità di olio per alimentare la propria lucerna. D’altro canto – si noti il dettaglio – lo Sposo arriva a “mezzanotte”, che è difatti l’espressione temporale del “punto zero”: il momento in cui cioè si incontrano la dimensione orizzontale storico-temporale e quella verticale meta-temporale; il momento di pienezza che permette l’intersecarsi delle due dimensioni ontologiche.

A tale momento di pienezza “verticale” appartiene e contribuisce quindi, tra le altre cose, anche la volontà “orizzontale”, la disponibilità consapevole delle vergini savie di “farsi ritrovare pronte”.

 

Alcuni cenni al testo

La serie di Profezie sul Grande Monarca e sul Santo Papa costituiscono un punto fondamentale nel compimento escatologico che conduce al Ritorno del Re, alla Parousia di Nostro Signore. Si potrebbe oltretutto pensare a quel momento dell’Apocalisse in cui si parla proprio dei “due testimoni”[16].

Secondo una esegesi, infatti, in tale passaggio si alluderebbe alla visione riportata in Zc 4,3-14 in cui i due testimoni sono Zorobabele e Giosuè, ossia rispettivamente i rappresentanti del potere civile e di quello religioso, incaricati della restaurazione del popolo di Dio.

Comunque sia, resta il fatto che, come ogni profezia, il tema profetico qui in oggetto intende offrire uno spunto “educativo”, uno stimolo ad un “convergere” che, proprio per questo, attende una risposta di adesione, volontaria e consapevole, da parte di coloro che intendono conformarvisi. La venuta del Grande Monarca e del Santo Papa, per riportare pace e giustizia nella Chiesa e nel mondo, non sancirebbe oltretutto la definitiva Parousia di Cristo Signore, ma ne fisserebbe comunque un importante momento intermedio. Lo si chiarirà bene leggendo i testi che proponiamo di seguito.

 

Un altro aspetto che invece val la pena di porre in risalto è che non solo le Profezie insistono su un tema chiaramente inerente alla Regalitas, ma che oltretutto esse dichiarano, abbastanza esplicitamente, la negatività della forma politica della “repubblica”, in quanto frutto di cospirazioni; per questo, essa rimane soggetta a dover essere estirpata laddove risultasse stata istituita.

A tal proposito è emblematico che in uno dei testi, attribuito a S. Francesco di Paola, si faccia menzione del fatto che su tutta la terra ci saranno in quei giorni l’Imperatore (il Grande Monarca) e 12 Re; mentre in un altro, la cui paternità è attribuita ad un anonimo padre cappuccino, si afferma che il Papa manderà per il mondo 12 apostoli-predicatori a convertire tutte le genti (ad eccezione degli ebrei, la cui conversione rimane invece riservata per quando ci sarà la fine del mondo).

E’ pertanto curioso notare un’allusione, un rimando, sia alla Tavola eucaristica, di pertinenza del Sacerdotium, che all’arturiana Tavola Rotonda, di pertinenza della Regalitas. Il che non rimane un dettaglio occasionale, giacché in un altro testo, sempre attribuito a S. Francesco di Paola, si descrive il Grande Monarca come il fondatore di un nuovo Ordine religioso, che sarà pure l’ultimo della Chiesa e che risulterà diviso in tre classi, ovvero: “cavalieri militari, sacerdoti solitari, e frati ospitalieri molto pii”.

A completare questa panoramica di “interesse cavalleresco”, interviene pure la profezia della Beata Anna Emmerich la quale, ponendosi in linea con numerosi altri testi della Profezia qui però non inseriti, descrive il Grande Monarca come “claudicante”. In effetti, siamo curiosamente al cospetto del notissimo tema del Re “ferito e zoppo”, che rimane fondante per la simbologia che è propria del ciclo epico cavalleresco arturiano, anche se tuttavia non lo approfondiremo in questa occasione

Quanto emerge da tali rapidi accenni – che è poi quanto ci interessava principalmente rilevare – è che nelle Profezie del Grande Monarca e del Papa Santo si configurano dei temi valoriali che si costituiscono come importante bagaglio della Cavalleria.

Accanto ad essi permane quello più decisivo, l’indicazione del quale ci siamo riservati per ultimo.

 

La sezione finale della serie di Profezie è infatti dedicata alla particolare funzione che viene svolta dalla S. Vergine proprio nelle lotte degli ultimi tempi, e solo grazie alla Quale la Chiesa trionferà contro l’anticristo; e ben sappiamo come la figura della Dama Celeste, Nostra Signora e Regina, incarni il vertice spirituale di ogni anelito cavalleresco.

Emblematico è quel passaggio in cui si legge che «[…] la conoscenza di Gesù Cristo e la venuta del suo Regno nel mondo non saranno che la conseguenza necessaria (sic) della conoscenza della Santa Vergine e della venuta del Regno di Maria, che lo ha messo al mondo la prima volta e che lo farà risplendere la seconda».

Quel che tutti noi siamo dunque chiamati ad operare – e il Cavaliere, con particolare dedizione ed in misura integrale – è un affidamento particolare al Cuore Immacolato di Maria.

La venuta del Grande Monarca e del Santo Papa costituisce in definitiva un evento a cui tendere con fede profonda, confessandone l’imminenza e soprattutto “operando” per predisporsi, già da ora, ad accoglierla, spada in pugno, nel totale affidamento al Sacro ed Immacolato Cuore di Maria a cui, ancor più perché Cavalieri, siamo chiamati a consacrarci.

Soltanto così si attuerà la pace e la giustizia del mondo.

«[…] Ciò è quello che la Madonna intende quando dice che la Pace “non basta desiderarla” (sic): tutti desiderano la Pace, ma pochi la mettono in atto e ancor di meno sono quelli che lo fanno nel modo giusto».

La venuta finale del Regno di Gesù, la Parousia, passa dunque attraverso l’affermazione del Regno di Maria, col Grande Monarca ed il Papa Santo.

Dice ancora la S. Vergine, nel messaggio ad un veggente: «Il Regno di Gesù verrà per mezzo Mio; il Mio Cuore deve trionfare e poi ci sarà l’ultimo e grande trionfo del Cuore di Gesù».

 

NOTE

[1] L’etimologia riconosciuta come più diretta è quella dal verbo προ-φημι (pro-phemì). Tuttavia, questo limita in peggio il ventaglio di sfumature che sarebbe possibile cogliere nel sostantivo. Comunque sia, se introduciamo come opportuno anche il rapporto col verbo προ-φαινω (pro-phàino) è perché entrambi i verbi godono di una comune radice sanscrita che li rende consimili.

[2] Cfr. Simbolo niceno-costantinopolitano: DS 150.

[3] Catech. Ch. Catt., 2584.

[4] Catech. Ch. Catt., 2581.

[5] Cfr. Is 45,22.

[6] Rm 12,6.

[7] 1Cor 14,22.

[8] S. GIUSTINO, Dialogo con Trifone, VII,  a cura di G. Visonà, Ed. Paoline, 1988.

[9] Cfr. Gv 1,1-8; 8,12; 9,5.

[10] Cfr. Mt 5, 14-16.

[11] Cfr. 2Cor 4,6.

[12] Cfr. l’“Io sono Colui che sono” di Es 3,14.

[13] Cfr. Mt 24,36.

[14] Ap 1,4; 1,8; 4,8.

[15] Mt 25,1-13.

[16] Ap 11,3-12.