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Cristo è la Croce (di Cosmo Intini)

 

La celebrazione della Settimana Santa ci offre l’occasione per presentare una breve, quanto significativa riflessione sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, grazie alla quale poter cogliere un aspetto di quella che è la portata “ontologica” del Suo Mistero.

La narrazione evangelica della Passione ci fa conoscere in maniera precisa quali furono gli ultimi e decisivi spostamenti del Signore effettuati in Gerusalemme, dal momento dell’Ultima Cena sino alla Crocifissione.

Dopo aver lasciato il Cenacolo, Egli si recò in preghiera nell’Orto degli Ulivi; dopo di che, una volta catturato, fu condotto prima alla casa del Sommo Sacerdote Caifa, poi al cospetto di Pilato, presso il praetorium ed infine sul Golgota.

Ma se tale è l’evidente, esteriore successione degli eventi, è tuttavia anche possibile porsi secondo una prospettiva interiore, “tra le righe”; alla luce della quale si colgono le inevitabili, necessarie corrispondenze che si instaurano tra il visibile agire umano di Gesù ed il Suo misterico agire divino[1].

I suddetti spostamenti mantengono, insomma, una pregnanza simbolica (nell’accezione più propria del termine), la quale testimonia una volta di più quanto ogni dettaglio della vita umana del Logos incarnato conservi una significatività, una ritualità, che purtroppo rimangono spesso nascoste al logos del fedele. Ciò va addebitato al semplice fatto che oggi, dopo secoli di invasivo razionalismo – che ha peraltro corrotto anche l’ambito teologico – la mente del cristiano ha smarrito quella sensibilità che in epoche ormai passate gli permetteva di andare più immediatamente oltre la “lettera”, per cogliere anche lo “spirito”. La mente umana è ormai disabituata alle esperienze sottili e oggettivanti; e dopo aver erroneamente posto in antagonismo la fede e la ragione, ha ridotto questa ad un meccanicistico razionalismo, chiuso su se stesso, ed ha mortificato la prima rendendola una pratica di carattere quasi esclusivamente soggettivo-sentimentale, fideistico.

La Via Crucis

Premesso ciò, verificando l’orientamento dei luoghi che, dopo l’Ultima Cena, scandirono la Via doloris, la Via crucis di Nostro Signore, notiamo allora quanto segue:

  1. L’Orto degli Ulivi è collocato nella parte EST di Gerusalemme;
  2. La casa di Caifa era posta nella parte SUD della città;
  3. Il praetorium di Pilato, per tradizione, viene fatto coincidere con la cosiddetta Torre Antonia, a NORD;
  4. Il Golgota, oggi inglobato nella odierna zona della Basilica del S. Sepolcro, all’epoca era ancora esterno alle mura e posto sul lato OVEST delle medesime.

Come è facile verificare, nel compiere gli spostamenti che toccarono i quattro punti cardinali della città, Gesù venne a scandire in maniera latente, a “tracciare” col proprio corpo, esattamente la forma di quella “CROCE” su cui era in procinto di offrirsi in sacrificio: in tal modo, riprendendone e ribadendone già il suo significato[2].

Che senso può avere tutto questo? Lo possiamo comprendere rileggendo quanto ebbe a scrivere Benedetto XVI in un suo saggio sulla liturgia, spiegando per l’appunto il significato profondo del segno della croce: «La chiave interpretativa è fornita da Ez 9,4 ss. Nella visione ivi descritta Dio stesso dice al suo messaggero vestito di lino che porta al fianco la borsa da scriba: “Vai in mezzo alla città e scrivi un Tau sulla fronte di tutti gli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono”. Nella catastrofe spaventosa che si preannuncia, coloro che non si riconoscono nel peccato del mondo, ma soffrono per esso a motivo di Dio – soffrono senza potere fare nulla, ma sono appunto lontani dal peccato – devono essere segnati con l’ultima lettera dell’alfabeto ebraico, la Tau, che veniva scritta a forma di croce (T oppure oppure X). La Tau, che in effetti aveva la forma di una croce, diventa il sigillo della proprietà di Dio. Risponde al desiderio e al dolore dell’uomo per Dio e lo mette così sotto la particolare protezione di Dio»[3].

Sarà forse solo un caso che, nel tempo, per Gerusalemme e per tutta la Terra Santa si sia adottata, quale simbolo identificativo, quell’omonima croce gerosolomitana nella cui rappresentazione compaiono, tra i bracci, proprio “quattro” ulteriori piccole croci (tanti quanti i punti cardinali), che riprendono e ribadiscono la grande Croce centrale? 

Il dolore e la gloria del Crocifisso                                                                                                                    

E’ così che, allora, tutta la simbologia appena evinta, incentrata sulla Croce, non poteva non trovare sublimazione ed epilogo nel momento della Crocifissione vera e propria: quasi a definire quella suddetta “grande Croce centrale”, dopo aver alluso alle quattro, più piccole, poste in corrispondenza dei quattro cardini di Gerusalemme.

La piena adesione “ontologica” del Signore all’evento di cui si stava rendendo protagonista – e di cui abbiamo appena dato breve esemplificazione – a maggior ragione si rese insomma esplicita nel momento estremo in cui Egli veniva inchiodato proprio sul patibolo.

Anche e proprio allora, infatti, la Sua divina identità non poteva che manifestarsi tramite la totale “identificazione” della Sua Persona con l’ordine degli avvenimenti.

Seppur sinteticamente, ne proviamo ad apprezzare i risvolti con l’ausilio della scienza sacra dell’ermeneutica gematrica.

Sulla scorta di quei passi dell’Apocalisse in cui il Signore viene posto in relazione col simbolismo dell’Alpha e Omega (Ap 1,8. 21,6. 22,13), ricordiamo come proprio tali due lettere greche spesso compaiano nell’iconografia della Croce e in corrispondenza dei bracci laterali della stessa. E basterebbe anche solo questa evenienza a testimoniare l’evidenza del fatto che il Logos divino si sia effettivamente incarnato nel logos umano, di cui la lingua greca (qui allusa dalle sue due lettere estreme) costituisce appunto l’aspetto cristiano-linguistico più sacrale e proprio[4].

Ma ciò su cui vogliamo innanzitutto soffermarci è che l’atteggiamento del corpo del Cristo Crocifisso rimanda a quello di una lettera ypsilon (Y).

La circostanza è intanto emblematica in quanto da un punto di vista gematrico Alpha e Omega valgono rispettivamente “1 e 800”, mentre dal canto sua la Y vale “400”; ebbene, è allora del tutto giustificato e coerente che il Signore si ponga, col valore evocato dalla Sua postura in Croce (= 400), proprio al centro dei due suddetti valori numerici estremi (= 1 e 800).

Ma non basta.

Dobbiamo osservare che 400 è il valore gematrico di κριος[5], che significa “ariete”. Ciò costituisce un chiaro rimando alla simbologia del Cristo in quanto “agnello sacrificale”, spesso rappresentato proprio come “ariete” nelle scene d’arte cristiana che ritraggono il cosiddetto “pastore crioforo”[6].

Dal canto loro, sempre gematricamente, i valori 1 e 800 corrispondono alla locuzione α κυριος[7], che nel proprio insieme traduce “Unico Signore”. Ancora una volta l’allusione rimanda all’Apocalisse, dove proprio l’Agnello, appunto, è fatto estesamente coincidere col “Signore dei signori”: ossia con Dio stesso.

E allora non è nemmeno un caso che la parola κριος (ariete) sia pressoché uguale a κυριος (Signore), differendo da quest’ultima proprio e soltanto per una ypsilon (e quindi, sempre per quel valore pari a 400).

Un’ultima annotazione tra le innumerevoli che si potrebbe avanzare, la riserviamo all’insieme delle suddette tre lettere greche (Alpha, Ypsilon, Omega) che vengono evocate proprio in tale ordine nella scena della Crocifissione: ΑΥΩ.

Ebbene, nel loro insieme esse costituiscono il verbo greco che traduce “gridare, emettere un grido”. Ciò non può non avere relazione col momento estremo della vita del Signore, quando Egli esalò lo spirito, appunto, emettendo un forte grido (cfr. Mt 27,50; Mc 15,37: Lc 23,46; Gv 19,30)[8].

Conclusioni

Giunti a questo punto, possiamo in definitiva affermare che Gesù è veramente quell’Io sono di Es 3,14: appellativo col quale, del resto, Lui stesso più volte si definisce. E ciò in quanto Essere ed Essenza in Lui coincidono. In effetti, essendo Egli il Logos, veramente il Suo dire ed il Suo fare coincidono col Suo essere.

E così, nella notte della Passione, il Signore ha dapprima spazialmente “iscritto” sulla città di Gerusalemme il sigillo salvifico del proprio sacrificio; per poi darne sul Golgota, col proprio corpo, il sugello definitivo.

 

Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:

www.ideeazione.com (07.04.23)

NOTE

[1] Beninteso, questa corrispondenza si verifica anche quando è attuata, a posteriori, dalla Sua Chiesa.

[2] Recenti studi archeologici propendono nell’individuare quale luogo del praetorium non più la Torre Antonia, quanto piuttosto il Palazzo di Erode, posto ad Ovest. Ciò va in verità incontro ad alcune incongruenze, quali ad esempio il fatto che, se così fosse, per andare al Golgota, luogo della crocifissione, Gesù dovette allora scendere e non salire; e ciò in quanto la Reggia Erodiana era appunto nella parte più alta della collina occidentale. Occorre dunque stare in guardia dal modo sbrigativo con cui certi studiosi odierni scartano le tradizioni antiche, che invece individuano appunto la Torre Antonia, a Nord, quale luogo appunto del praetorium.

[3] J. RATZINGER, Introduzione allo spirito della liturgia, Edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 2001, pp. 173 sgg.

[4] Ci basti solo ricordare che i Vangeli, così come l’Apocalisse stessa, unico libro profetico del Nuovo Testamento, furono appunto scritti in greco: e ciò mantiene la propria importanza e significatività.

[5] 400 = 20+100+10+70+200.

[6] Oltretutto, è altresì noto che la Passione si svolse agli inizi del mese di aprile: proprio in concomitanza del segno zodiacale dell’Ariete.

[7] (1) e (800 = 20+400+100+10+70+200).

[8] Sul “grido di Gesù” emesso in punto di morte, per interessanti approfondimenti rimandiamo al seguente luogo:

J. RATZINGER, Introduzione al Cristianesimo, Editrice Queriniana, Brescia 2007, p. 287.