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DARYA DUGINA: dies natalis ed escatologia (di Cosmo Intini)

 

Il 20 agosto 2022, a Mosca, è avvenuto il martirio di Darya Dugina, figlia del filosofo Aleksandr Dugin. Dedichiamo queste riflessioni alla sua imperitura memoria. Amen.

***

“Santo e salutare è pregare per i defunti”[1]

In quanto la nostra preghiera per i defunti “[…] può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore[2], è con siffatta certezza che il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis si unisce ‘nella memoria’ di Darya Dugina.

Diciamo subito, però, che lo facciamo a modo nostro: con un approccio che a qualcuno potrebbe forse apparire discutibile, o quantomeno inusitato.

 

Un’ulteriore forma di preghiera

 

Partiamo allora dal fatto che, accanto alle nostre dovute orazioni di buoni cristiani, si connota quale forma di preghiera unitiva anche il nostro porci, nei rispetti dei temi che hanno caratterizzato la ‘buona battaglia’ ed il ‘martirio’ di questa giovane eroina russa, secondo una certa forma di ‘comunione spirituale’ con lei, che andremo tra breve a delineare.

In tal modo, ne siamo profondamente certi, il miglior lascito spirituale di Darya si manifesterà, immediatamente, come concreto ed effettivo supporto da lei stessa offerto a noi, così come a tutti coloro che questa medesima battaglia stanno ancora combattendo.

 

Da quel fatale 20 agosto scorso, numerose sono state le attestazioni di cordoglio, di vicinanza, di comunione di intenti rivolte ad Aleksandr Dugin, nonché di determinazione nel contribuire al prosieguo della medesima lotta che ha caratterizzato il pensiero e l’azione anche di sua figlia Darya.

Sentimenti, questi, tutti nobilissimi e sinceri; ma che, proprio in quanto generati dall’emozione del momento, potrebbero purtroppo soggiacere all’inevitabile destino di ogni cosa che rimane immersa nel temporale. Per ogni giorno che ci allontana da quel 20 agosto, rimane il rischio che i cuori si abituino al ricordo dell’ormai avvenuto martirio di Darya: senza più riviverlo col totale coinvolgimento che tutti noi, adesso, stiamo sperimentando. Nel bene e nel male, infatti, una delle caratteristiche tipiche dell’essere umano consiste proprio nel riuscire, prima o poi, ad adattarsi e ad abituarsi a tutto.

Non vogliamo con ciò negare la legittimità della commozione; vogliamo solo introdurre accanto alla sua ‘instabilità’, di carattere soggettivo, una controparte di carattere semmai più oggettivo, ‘invariabile e permanente’, più ‘sapienziale’ e archetipico. Intendiamo alludere, cioè, all’approccio tipico della ‘scienza-sacra’, il quale lasci cogliere le latenti, contingenze metastoriche e metatemporali dell’avvenimento storico che ha visto Darya quale protagonista. Solo elevandosi oltre la contingenza di un ‘oggi’ ancora influenzato dall’inane suggestione dell’esistenza di uno ‘ieri’ e di un ‘domani’, si perviene infatti all’accoglimento di quel ‘sempre’ che è proprio dell’eternamente presente.

 

Il dies natalis

 

E’ a tutti ben noto il significato di ciò che specificamente rappresenta, per ogni cristiano, il dies natalis. Ribaltando difatti il significato più ovvio della locuzione, esso designa il giorno della propria morte in quanto ‘rinascita’ al Cielo, piuttosto che quello della propria nascita terrena.

Il valore e l’importanza di tale giorno deriva dal suo costituirsi quale porta per la completa apertura sull’eterno, entro il Signore e Re Gesù Cristo. Il suo chiudere-per-dischiudere sancisce insomma l’Initium per eccellenza: quello della definitiva Vittoria sul Nemico (che ha fatto della morte la sua più temibile maledizione) nonché, contestualmente, quello della piena contemplazione della Gloria di Dio.

Tramite il dies natalis, l’unione fra le membra della Chiesa ed il suo Capo, Cristo Re, raggiunge il culmine nell’aspetto di ‘comunione dei santi’; e ciò nel duplice significato di ‘comunione alle cose sante’ e ‘comunione tra le persone sante’.

E’ esattamente questo il motivo per cui l’unione tra coloro che sono ancora in cammino, pellegrini in terra, con coloro che sono invece già morti in Cielo nella pace di Cristo, non solo non è spezzata, ma è vieppiù consolidata dalla reciproca comunicazione dei beni spirituali[3]. Infatti, la comunione con i santi, grazie alla loro intercessione, ci unisce a Cristo e consolida nello Spirito tutta la Chiesa; sì che ogni membra del Corpo mistico può pienamente fruire di tutta la grazia promanante dal suo Capo.

 

Corrispondenze calendariali

 

Alla luce di tali presupposti e proponendone una lettura estensiva, possiamo allora porre in risalto tutta la significatività del fatto che il dies natalis di Darya (20 agosto) sia venuto a corrispondere, secondo il Martirologio Romano, proprio con quello di S. Bernardo di Chiaravalle († 1153). Ed oltre a ciò, come da antichissima tradizione – e questa volta, tanto secondo il Martirologio Romano quanto secondo i Sinassari bizantini – esso è anche il giorno in cui si commemora S. Samuele Profeta.

Se vogliamo porre fede sino in fondo alla verità teologica designata dalla ‘comunione dei santi’, non possiamo non ritenere come tale ‘corrispondenza calendariale’ debba essere leggibile soprattutto entro la particolare luce di un recondito e latente significato di matrice ‘provvidenziale’, metastorico e metatemporale, di cui proveremo a delineare i contorni.

In definitiva, nell’unità della comunione dei santi, la nascita al Cielo di Darya è strettamente corrispondente ai significati di cui si fanno latrici le due predette sante figure.

 

Regalitas e Cavalleria

 

Cominciando da S. Samuele Profeta, ricordiamo brevemente come egli sia colui che ha mediato il passaggio oltre la giudicatura israelitica, avendo «acconsentito e incoraggiato il graduale nascere della monarchia, vedendo in essa il rimedio provvidenziale contro i Filistei, collaborando così al sorgere di quel messianismo regale, sottolineato da 2′ Isaia e dai salmi regali e pienamente realizzato in Cristo»[4].

E’ proprio a lui che si deve prima l’unzione di Saul e poi di David: la stirpe di quest’ultimo, peraltro, diverrà per il Cristianesimo quella ‘regale’ per antonomasia.

 

  1. Bernardo di Chiaravalle, da parte sua, è l’artefice della codificazione della figura del monaco-cavaliere, che troverà nell’Ordine dei Templari la prima e più alta espressione.

Nel suo sermone esortatorio De Laude Novae Militiae introduce, tra le altre cose, il tema del ‘malicidium’, ovvero la liceità della soppressione fisica di coloro che si rendono epigoni del Male, molestando ed opprimendo la fede in Cristo. In linea con tale concezione, egli fu tenace promotore e predicatore della II crociata.

Strettamente collegato col ‘malicidio’ è poi lo spirito del ‘sacrificio’, al quale ogni Cavaliere deve aderire: «Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per sé stesso, dando la morte vince per Cristo»[5].

Emblematica è infine la sua adozione poetico-mistica a guida nel Paradiso della Divina Commedia. Stante la dottrina politico-imperiale che Dante profonde anche e soprattutto in tale sua opera, non si può non cogliere, dunque, il particolare spessore che S. Bernardo incarna, dacché legato tanto all’Impero quanto alla Cavalleria, istituzione che del primo costituisce la militia.

 

Ermeneutica ‘omologhica’

 

Il reiterato rimando alla Regalitas offerto sia da S. Samuele Profeta che da S. Bernardo di Chiaravalle – funzione la quale riconosce, assieme al Sacerdotium, la propria matrice archetipica nei due aspetti del Cristo in quanto Rex et Sacerdos – e di cui l’istituto del Sacrum Imperium incarna l’attualizzazione politico-sociale più propria, trova in definitiva pieno riscontro anche nella posizione che Darya (così come suo padre) ha mantenuto in maniera decisa, chiara e coerente, a fondamento di tutte le proprie riflessioni geopolitiche oltre che filosofiche.

Non staremo qui a delineare i dettagli, peraltro già ben noti agli ‘addetti ai lavori’, su quanto Darya si sia sempre considerata un ‘guerriero in lotta per l’Impero’. Ci sia invece sufficiente aver rimarcato la sussistenza di questa emblematica corrispondenza, di puro carattere metafisico, che ci permette di ribadire quanto l’invisibile permei ‘realmente’ il visibile, quanto il microcosmo rimanga in analogica corrispondenza col macrocosmo.

Dovere di tutti rimane, semmai, quello di non tenerne conto limitandosi ad una sua percezione quale fosse una semplice curiosità, per quanto suggestiva; o peggio, interpretando il tutto come l’attuazione di una forzatura ermeneutica alquanto opinabile, dato il proprio carattere di indimostrabilità allorché sottoposto ad una analisi di tipo meramente logico.

La Vittoria sul Nemico, il Malicidio (e le maiuscole denotano il contesto archetipico, oltre che occasionale e contingente, a cui rimanda l’affermazione), si può ottenere solo attraverso un eroico atto di fede; intendendo questa non come πιστις, ossia come semplice ‘fiducia’, ma piuttosto come ομο-λογια, ovvero come ‘con-formità con il Cristo Λογος’, parola il cui senso riprendiamo dalla terminologia paolina in quanto ‘confessione e testimonianza di fede’.

Tale ‘con-formità’ con il Logos divino implica il nostro docile e convinto abbandono ad un adeguamento ‘ontologico’ entro la Sua azione e la Sua Verità; il che comporta contestualmente la rinuncia alla nostra ontica logica-pensante (secondo le modalità usuali e correnti del logos umano), in vista del suo superamento nell’apertura alla ricezione di Lui, Essere assoluto, costantemente ‘permanente’ come unificante origine del tutto e del niente: realtà già o non ancora disvelata[6].

In ultima analisi, anche la corrispondenza calendariale summenzionata rappresenta una forma di omologhia, giacché l’‘identità’ (gr. ειδος) qui esplicitata dal 20 agosto (giorno ‘identico’ per Darya, S. Bernardo e S. Samuele) non afferisce solamente ad una coincidenza temporale, ma anche e soprattutto ad una corrispondenza formale (nel senso platonico del termine) riunificantesi nel e grazie al Logos.

 

Un esempio di con-formità metastorica

 

Siamo ben consapevoli della difficoltà che tale approccio potrebbe comportare in coloro che non siano avvezzi alle pratiche riconducibili ad una modalità ermeneutica più pertinente alla scienza sacra che non all’usuale pensare filosofico o alla teologia (il pensare di Heidegger riveste comunque, in certo qual modo, un’isolata eccezione). D’altro canto, si tratta di contesti che, toccando il Mistero, non possono presumere di potersi esaurire in una limitante discorsività, necessitando invece di un loro accoglimento che presenti piuttosto un carattere intuitivo. La Verità non si coglie parlandone, ma con-formandosi ontologicamente con Essa.

Ad ogni buon conto, a sostegno della particolare emblematicità che sorregge le nostre riflessioni, ci sembra significativo citare un episodio, tratto dall’agiografia di S. Bernardo, che auspicabilmente potrà delineare ancor meglio la prospettiva metalogica e metastorica propria delle suddette riflessioni stesse.

Si tratta dell’abbastanza noto episodio del ‘Rogo del diavolo’. Lo citiamo brevemente.

 

Secondo una leggenda, mentre il santo soggiornava a Milano, dovette recarsi a Vigevano per una predica in favore della seconda crociata. Satana, per impedirgli di giungere a destinazione, pensò di staccare una ruota dall’asse del suo carro. Ma Bernardo, catturato il demonio con le proprie mani, ne adattò il corpo al posto della ruota rotta, così da poter proseguire il viaggio. I vigevanesi, avvertiti della presenza del maligno immobilizzato nella ruota, approfittarono della situazione per bruciare nella piazza l’intero carro, con lo stesso satana ancora imprigionato.

Spentesi le fiamme, Bernardo raccolse le ceneri del demone (ribattezzato dai cittadini col nome di Barlic); queste, per volontà del santo, vennero amalgamate con calce fabbricando così un mattone. Esso venne utilizzato per costruire l’abside del Duomo, né deve essere mai rimosso dal punto in cui si trova, per evitare che il diavolo possa ritornare[7].

A nostro modo di vedere, mutatis mutandis, come non cogliere qui, ‘in filigrana’, proprio il carattere ed i tratti salienti dell’evento che ha caratterizzato il martirio di Darya?

  1. Una dolosa, maligna manomissione di un veicolo, sfociata in un rogo!
  2. Da tutto ciò, l’immediato insorgere di uno spontaneo ed energico impulso indirizzato a porre le basi per una costruzione, una rinascita!
  3. La funzione ‘katecontica’ di tale costruzione!

Alcune note conclusive

Scrive Aleksandr Dugin nel Manifesto del Grande Risveglio: «la Russia si è rivelata essere l’erede di due imperi che sono crollati all’incirca nello stesso momento, nel XV secolo: l’impero bizantino e quello mongolo. L’impero è diventato il nostro destino […] la nostra rinascita è inconcepibile senza il ritorno alla missione imperiale, sancita nel nostro destino storico. […] Proprio di questo abbiamo bisogno: di un Rinascimento Imperiale… questa è la nostra missione – essere il “Kathéchon”, “colui che trattiene”, impedendo l’arrivo del Male finale nel mondo»[8].

Da queste parole, che Darya ha certamente condiviso con il proprio padre, non si può non desumere quanto la questione della Renovatio Sacri Imperii costituisca il fondamento per poter porre ed affrontare nella più giusta luce qualunque altra argomentazione: politica, sociale, economica, culturale. Non fosse altro che per la connotazione ‘sacrale’ ed escatologica che l’Istituto Imperiale possiede: peraltro unico, rispetto ad ogni altra forma di governo temporale.

E se ciò vale per la Russia, esso vale anche per noi: europei orfani della vera Europa. Tale stato di orfanità si è manifestata da ormai troppo tempo con la perdita di quella virile fierezza di popolo che invece, Deo gratias, la Russia ancora mantiene alquanto intatta. Ne dovremmo quanto prima trarre esempio e stimolo ad agire.

Le parole pronunciate da Aleksandr Dugin, in occasione del servizio funebre per la propria figlia, hanno mostrato la sua piena consapevolezza di cristiano, di russo, di padre, che il martirio di Darya, per volontà e attraverso i misteriosi disegni della Provvidenza, è giunto a ricordarci che la Vittoria è già scritta nell’Ordine delle cose.

Bisogna tuttavia ‘con-formarsi’ con esso Ordine, per far sì che satana sia rincatenato e rigettato nell’abisso, assieme ad i suoi epigoni umani.

Per far ciò, bisogna dunque assumere quello stato di consapevolezza metastorica che ci garantisce dell’analogica corrispondenza che lega tutti coloro che combattono per il Bene, contro il Nemico.

Se ci leghiamo e corrispondiamo a Darya, in comunione con lei ci leghiamo alla ‘lotta guerriera per l’Impero’; la quale sola – e ce lo attestano S. Bernardo di Chiaravalle e S. Samuele Profeta – può essere fonte di Bene.

D’altra parte non è nemmeno un caso, ma una omologhia anch’essa, che il nome di Darya (Pers. Dārayavahuŝ, per via greca: Dareios) significhi proprio: ‘colei che possiede il bene’.

[1] Cfr. 2 Mac 12,46.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, 958.

[3] Cfr. idem, 955.

[4] https://www.santodelgiorno.it/san-samuele/.

[5] De Laude Novae Militiae, 3.

[6] Nel simbolismo cavalleresco tutto ciò implica il raggiungimento del S. Graal, attraverso il cui potere ogni battaglia che comincia risulterà già vinta nel momento stesso in cui avviene. E’ questo il perseguimento della pax aeterna.

[7] A tal proposito, va ricordato che della chiesa originaria (che fu demolita da Francesco II Sforza nel 1532) è rimasta emblematicamente intatta, sino ad oggi, solamente l’abside.

[8] https://www.ideeazione.com/manifesto-del-grande-risveglio-1/.

“Santo e salutare è pregare per i defunti”[1]

In quanto la nostra preghiera per i defunti “[…] può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore[2], è con siffatta certezza che il Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis si unisce ‘nella memoria’ di Darya Dugina.

Diciamo subito, però, che lo facciamo a modo nostro: con un approccio che a qualcuno potrebbe forse apparire discutibile, o quantomeno inusitato.

 

Un’ulteriore forma di preghiera

 

Partiamo allora dal fatto che, accanto alle nostre dovute orazioni di buoni cristiani, si connota quale forma di preghiera unitiva anche il nostro porci, nei rispetti dei temi che hanno caratterizzato la ‘buona battaglia’ ed il ‘martirio’ di questa giovane eroina russa, secondo una certa forma di ‘comunione spirituale’ con lei, che andremo tra breve a delineare.

In tal modo, ne siamo profondamente certi, il miglior lascito spirituale di Darya si manifesterà, immediatamente, come concreto ed effettivo supporto da lei stessa offerto a noi, così come a tutti coloro che questa medesima battaglia stanno ancora combattendo.

 

Da quel fatale 20 agosto scorso, numerose sono state le attestazioni di cordoglio, di vicinanza, di comunione di intenti rivolte ad Aleksandr Dugin, nonché di determinazione nel contribuire al prosieguo della medesima lotta che ha caratterizzato il pensiero e l’azione anche di sua figlia Darya.

Sentimenti, questi, tutti nobilissimi e sinceri; ma che, proprio in quanto generati dall’emozione del momento, potrebbero purtroppo soggiacere all’inevitabile destino di ogni cosa che rimane immersa nel temporale. Per ogni giorno che ci allontana da quel 20 agosto, rimane il rischio che i cuori si abituino al ricordo dell’ormai avvenuto martirio di Darya: senza più riviverlo col totale coinvolgimento che tutti noi, adesso, stiamo sperimentando. Nel bene e nel male, infatti, una delle caratteristiche tipiche dell’essere umano consiste proprio nel riuscire, prima o poi, ad adattarsi e ad abituarsi a tutto.

Non vogliamo con ciò negare la legittimità della commozione; vogliamo solo introdurre accanto alla sua ‘instabilità’, di carattere soggettivo, una controparte di carattere semmai più oggettivo, ‘invariabile e permanente’, più ‘sapienziale’ e archetipico. Intendiamo alludere, cioè, all’approccio tipico della ‘scienza-sacra’, il quale lasci cogliere le latenti, contingenze metastoriche e metatemporali dell’avvenimento storico che ha visto Darya quale protagonista. Solo elevandosi oltre la contingenza di un ‘oggi’ ancora influenzato dall’inane suggestione dell’esistenza di uno ‘ieri’ e di un ‘domani’, si perviene infatti all’accoglimento di quel ‘sempre’ che è proprio dell’eternamente presente.

 

Il dies natalis

 

E’ a tutti ben noto il significato di ciò che specificamente rappresenta, per ogni cristiano, il dies natalis. Ribaltando difatti il significato più ovvio della locuzione, esso designa il giorno della propria morte in quanto ‘rinascita’ al Cielo, piuttosto che quello della propria nascita terrena.

Il valore e l’importanza di tale giorno deriva dal suo costituirsi quale porta per la completa apertura sull’eterno, entro il Signore e Re Gesù Cristo. Il suo chiudere-per-dischiudere sancisce insomma l’Initium per eccellenza: quello della definitiva Vittoria sul Nemico (che ha fatto della morte la sua più temibile maledizione) nonché, contestualmente, quello della piena contemplazione della Gloria di Dio.

Tramite il dies natalis, l’unione fra le membra della Chiesa ed il suo Capo, Cristo Re, raggiunge il culmine nell’aspetto di ‘comunione dei santi’; e ciò nel duplice significato di ‘comunione alle cose sante’ e ‘comunione tra le persone sante’.

E’ esattamente questo il motivo per cui l’unione tra coloro che sono ancora in cammino, pellegrini in terra, con coloro che sono invece già morti in Cielo nella pace di Cristo, non solo non è spezzata, ma è vieppiù consolidata dalla reciproca comunicazione dei beni spirituali[3]. Infatti, la comunione con i santi, grazie alla loro intercessione, ci unisce a Cristo e consolida nello Spirito tutta la Chiesa; sì che ogni membra del Corpo mistico può pienamente fruire di tutta la grazia promanante dal suo Capo.

 

Corrispondenze calendariali

 

Alla luce di tali presupposti e proponendone una lettura estensiva, possiamo allora porre in risalto tutta la significatività del fatto che il dies natalis di Darya (20 agosto) sia venuto a corrispondere, secondo il Martirologio Romano, proprio con quello di S. Bernardo di Chiaravalle († 1153). Ed oltre a ciò, come da antichissima tradizione – e questa volta, tanto secondo il Martirologio Romano quanto secondo i Sinassari bizantini – esso è anche il giorno in cui si commemora S. Samuele Profeta.

Se vogliamo porre fede sino in fondo alla verità teologica designata dalla ‘comunione dei santi’, non possiamo non ritenere come tale ‘corrispondenza calendariale’ debba essere leggibile soprattutto entro la particolare luce di un recondito e latente significato di matrice ‘provvidenziale’, metastorico e metatemporale, di cui proveremo a delineare i contorni.

In definitiva, nell’unità della comunione dei santi, la nascita al Cielo di Darya è strettamente corrispondente ai significati di cui si fanno latrici le due predette sante figure.

 

Regalitas e Cavalleria

 

Cominciando da S. Samuele Profeta, ricordiamo brevemente come egli sia colui che ha mediato il passaggio oltre la giudicatura israelitica, avendo «acconsentito e incoraggiato il graduale nascere della monarchia, vedendo in essa il rimedio provvidenziale contro i Filistei, collaborando così al sorgere di quel messianismo regale, sottolineato da 2′ Isaia e dai salmi regali e pienamente realizzato in Cristo»[4].

E’ proprio a lui che si deve prima l’unzione di Saul e poi di David: la stirpe di quest’ultimo, peraltro, diverrà per il Cristianesimo quella ‘regale’ per antonomasia.

 

  1. Bernardo di Chiaravalle, da parte sua, è l’artefice della codificazione della figura del monaco-cavaliere, che troverà nell’Ordine dei Templari la prima e più alta espressione.

Nel suo sermone esortatorio De Laude Novae Militiae introduce, tra le altre cose, il tema del ‘malicidium’, ovvero la liceità della soppressione fisica di coloro che si rendono epigoni del Male, molestando ed opprimendo la fede in Cristo. In linea con tale concezione, egli fu tenace promotore e predicatore della II crociata.

Strettamente collegato col ‘malicidio’ è poi lo spirito del ‘sacrificio’, al quale ogni Cavaliere deve aderire: «Affermo dunque che il Cavaliere di Cristo con sicurezza dà la morte ma con sicurezza ancora maggiore cade. Morendo vince per sé stesso, dando la morte vince per Cristo»[5].

Emblematica è infine la sua adozione poetico-mistica a guida nel Paradiso della Divina Commedia. Stante la dottrina politico-imperiale che Dante profonde anche e soprattutto in tale sua opera, non si può non cogliere, dunque, il particolare spessore che S. Bernardo incarna, dacché legato tanto all’Impero quanto alla Cavalleria, istituzione che del primo costituisce la militia.

 

Ermeneutica ‘omologhica’

 

Il reiterato rimando alla Regalitas offerto sia da S. Samuele Profeta che da S. Bernardo di Chiaravalle – funzione la quale riconosce, assieme al Sacerdotium, la propria matrice archetipica nei due aspetti del Cristo in quanto Rex et Sacerdos – e di cui l’istituto del Sacrum Imperium incarna l’attualizzazione politico-sociale più propria, trova in definitiva pieno riscontro anche nella posizione che Darya (così come suo padre) ha mantenuto in maniera decisa, chiara e coerente, a fondamento di tutte le proprie riflessioni geopolitiche oltre che filosofiche.

Non staremo qui a delineare i dettagli, peraltro già ben noti agli ‘addetti ai lavori’, su quanto Darya si sia sempre considerata un ‘guerriero in lotta per l’Impero’. Ci sia invece sufficiente aver rimarcato la sussistenza di questa emblematica corrispondenza, di puro carattere metafisico, che ci permette di ribadire quanto l’invisibile permei ‘realmente’ il visibile, quanto il microcosmo rimanga in analogica corrispondenza col macrocosmo.

Dovere di tutti rimane, semmai, quello di non tenerne conto limitandosi ad una sua percezione quale fosse una semplice curiosità, per quanto suggestiva; o peggio, interpretando il tutto come l’attuazione di una forzatura ermeneutica alquanto opinabile, dato il proprio carattere di indimostrabilità allorché sottoposto ad una analisi di tipo meramente logico.

La Vittoria sul Nemico, il Malicidio (e le maiuscole denotano il contesto archetipico, oltre che occasionale e contingente, a cui rimanda l’affermazione), si può ottenere solo attraverso un eroico atto di fede; intendendo questa non come πιστις, ossia come semplice ‘fiducia’, ma piuttosto come ομο-λογια, ovvero come ‘con-formità con il Cristo Λογος’, parola il cui senso riprendiamo dalla terminologia paolina in quanto ‘confessione e testimonianza di fede’.

Tale ‘con-formità’ con il Logos divino implica il nostro docile e convinto abbandono ad un adeguamento ‘ontologico’ entro la Sua azione e la Sua Verità; il che comporta contestualmente la rinuncia alla nostra ontica logica-pensante (secondo le modalità usuali e correnti del logos umano), in vista del suo superamento nell’apertura alla ricezione di Lui, Essere assoluto, costantemente ‘permanente’ come unificante origine del tutto e del niente: realtà già o non ancora disvelata[6].

In ultima analisi, anche la corrispondenza calendariale summenzionata rappresenta una forma di omologhia, giacché l’‘identità’ (gr. ειδος) qui esplicitata dal 20 agosto (giorno ‘identico’ per Darya, S. Bernardo e S. Samuele) non afferisce solamente ad una coincidenza temporale, ma anche e soprattutto ad una corrispondenza formale (nel senso platonico del termine) riunificantesi nel e grazie al Logos.

 

Un esempio di con-formità metastorica

 

Siamo ben consapevoli della difficoltà che tale approccio potrebbe comportare in coloro che non siano avvezzi alle pratiche riconducibili ad una modalità ermeneutica più pertinente alla scienza sacra che non all’usuale pensare filosofico o alla teologia (il pensare di Heidegger riveste comunque, in certo qual modo, un’isolata eccezione). D’altro canto, si tratta di contesti che, toccando il Mistero, non possono presumere di potersi esaurire in una limitante discorsività, necessitando invece di un loro accoglimento che presenti piuttosto un carattere intuitivo. La Verità non si coglie parlandone, ma con-formandosi ontologicamente con Essa.

Ad ogni buon conto, a sostegno della particolare emblematicità che sorregge le nostre riflessioni, ci sembra significativo citare un episodio, tratto dall’agiografia di S. Bernardo, che auspicabilmente potrà delineare ancor meglio la prospettiva metalogica e metastorica propria delle suddette riflessioni stesse.

Si tratta dell’abbastanza noto episodio del ‘Rogo del diavolo’. Lo citiamo brevemente.

 

Secondo una leggenda, mentre il santo soggiornava a Milano, dovette recarsi a Vigevano per una predica in favore della seconda crociata. Satana, per impedirgli di giungere a destinazione, pensò di staccare una ruota dall’asse del suo carro. Ma Bernardo, catturato il demonio con le proprie mani, ne adattò il corpo al posto della ruota rotta, così da poter proseguire il viaggio. I vigevanesi, avvertiti della presenza del maligno immobilizzato nella ruota, approfittarono della situazione per bruciare nella piazza l’intero carro, con lo stesso satana ancora imprigionato.

Spentesi le fiamme, Bernardo raccolse le ceneri del demone (ribattezzato dai cittadini col nome di Barlic); queste, per volontà del santo, vennero amalgamate con calce fabbricando così un mattone. Esso venne utilizzato per costruire l’abside del Duomo, né deve essere mai rimosso dal punto in cui si trova, per evitare che il diavolo possa ritornare[7].

A nostro modo di vedere, mutatis mutandis, come non cogliere qui, ‘in filigrana’, proprio il carattere ed i tratti salienti dell’evento che ha caratterizzato il martirio di Darya?

  1. Una dolosa, maligna manomissione di un veicolo, sfociata in un rogo!
  2. Da tutto ciò, l’immediato insorgere di uno spontaneo ed energico impulso indirizzato a porre le basi per una costruzione, una rinascita!
  3. La funzione ‘katecontica’ di tale costruzione!

Alcune note conclusive

Scrive Aleksandr Dugin nel Manifesto del Grande Risveglio: «la Russia si è rivelata essere l’erede di due imperi che sono crollati all’incirca nello stesso momento, nel XV secolo: l’impero bizantino e quello mongolo. L’impero è diventato il nostro destino […] la nostra rinascita è inconcepibile senza il ritorno alla missione imperiale, sancita nel nostro destino storico. […] Proprio di questo abbiamo bisogno: di un Rinascimento Imperiale… questa è la nostra missione – essere il “Kathéchon”, “colui che trattiene”, impedendo l’arrivo del Male finale nel mondo»[8].

Da queste parole, che Darya ha certamente condiviso con il proprio padre, non si può non desumere quanto la questione della Renovatio Sacri Imperii costituisca il fondamento per poter porre ed affrontare nella più giusta luce qualunque altra argomentazione: politica, sociale, economica, culturale. Non fosse altro che per la connotazione ‘sacrale’ ed escatologica che l’Istituto Imperiale possiede: peraltro unico, rispetto ad ogni altra forma di governo temporale.

E se ciò vale per la Russia, esso vale anche per noi: europei orfani della vera Europa. Tale stato di orfanità si è manifestata da ormai troppo tempo con la perdita di quella virile fierezza di popolo che invece, Deo gratias, la Russia ancora mantiene alquanto intatta. Ne dovremmo quanto prima trarre esempio e stimolo ad agire.

Le parole pronunciate da Aleksandr Dugin, in occasione del servizio funebre per la propria figlia, hanno mostrato la sua piena consapevolezza di cristiano, di russo, di padre, che il martirio di Darya, per volontà e attraverso i misteriosi disegni della Provvidenza, è giunto a ricordarci che la Vittoria è già scritta nell’Ordine delle cose.

Bisogna tuttavia ‘con-formarsi’ con esso Ordine, per far sì che satana sia rincatenato e rigettato nell’abisso, assieme ad i suoi epigoni umani.

Per far ciò, bisogna dunque assumere quello stato di consapevolezza metastorica che ci garantisce dell’analogica corrispondenza che lega tutti coloro che combattono per il Bene, contro il Nemico.

Se ci leghiamo e corrispondiamo a Darya, in comunione con lei ci leghiamo alla ‘lotta guerriera per l’Impero’; la quale sola – e ce lo attestano S. Bernardo di Chiaravalle e S. Samuele Profeta – può essere fonte di Bene.

D’altra parte non è nemmeno un caso, ma una omologhia anch’essa, che il nome di Darya (Pers. Dārayavahuŝ, per via greca: Dareios) significhi proprio: ‘colei che possiede il bene’.

COSMO INTINI

 

Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:

www.ideeazione.com  (09.09.22)

 

NOTE

[1] Cfr. 2 Mac 12,46.

[2] Catechismo della Chiesa Cattolica, 958.

[3] Cfr. idem, 955.

[4] https://www.santodelgiorno.it/san-samuele/.

[5] De Laude Novae Militiae, 3.

[6] Nel simbolismo cavalleresco tutto ciò implica il raggiungimento del S. Graal, attraverso il cui potere ogni battaglia che comincia risulterà già vinta nel momento stesso in cui avviene. E’ questo il perseguimento della pax aeterna.

[7] A tal proposito, va ricordato che della chiesa originaria (che fu demolita da Francesco II Sforza nel 1532) è rimasta emblematicamente intatta, sino ad oggi, solamente l’abside.

[8] https://www.ideeazione.com/manifesto-del-grande-risveglio-1/.