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Un Impero oggi nel cuore dell’Europa (riflessioni di G. Agamben e M. Veneziani).

“Europa sul Toro”, Paestum, Assteas, 370-360 a.C. (Cratere conservato nel Museo del Sannio Caudino, Benevento)

 

(Preambolo della Redazione)

Proponiamo all’attenzione dei nostri lettori tre articoli di due noti intellettuali: Marcello Veneziani (giornalista e scrittore) e Giorgio Agamben (filosofo).

La loro posizione sulla realtà del Sacrum Imperium avalla quanto il Sodalitum Equitum Deiparae Miseris Succurrentis va già da tempo testimoniando.

Lo attesta ad esempio la pubblicazione sia del suo volume “Cristo è Re: la Regalitas quale archetipo della Chiesa Cattolica”, per i tipi dell’editore Cantagalli[1], sia dei tanti interventi articolistici che possono essere leggibili anche in questo stesso sito di Reginaequitum, in particolare, ma non solo, nella sezione: Formazione, Imperium, Regalitas et Ecclesia.

A seguito dell’occasione fornita da tale presa di posizione di Veneziani e Agamben, ulteriori nostre riflessioni potranno essere lette, sempre su questo stesso sito, nell’artico “L’ineluttabilità del Sacrum Imperium“, sempre inserito nella suddetta sezione Formazione.

NOTA

[1] AA.VV. Cristo è Re: la Regalitas quale archetipo della Chiesa Cattolica, Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (a cura di), Ed. Cantagalli, Siena 2021.

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Marcello Veneziani. Per salvarci dall’UE c’è solo il Sacro Romano Impero

E se per salvarci dall’Unione europea, dalla globalizzazione, dal potere cinese e americano, dovessimo ripensare al Sacro Romano Impero? Non sono impazzito, sto riferendo con qualche complicità, una tesi del più noto filosofo italiano vivente.

Premessa. Siamo nell’epoca della spoliticizzazione integrale, destra e sinistra, tradizionalisti e progressisti non sognano più rivoluzioni e restaurazioni o svolte radicali. Nell’era della neutralizzazione, in cui i governi diventano governance, e si limitano ad amministrare il presente senza osare nessuna rottura con il potere globale, lasciate che per un momento mi abbandoni al Mito, al Film apocalittico e al pensare in grande. Poi tornerò con i piedi per terra, ma per una volta lasciatevi volare. Per farlo, non ricorreremo ai Grandi del passato, da Platone in giù ma a un filosofo vivente che non proviene certo da destra. Il filosofo in questione è Giorgio Agamben, che molti hanno conosciuto per le sue posizioni critiche ai tempi della pandemia e della vaccinocrazia. Non riprenderò i suoi pensieri sull’uso liberticida della pandemia ma su una cosa che sta in cielo e non in terra. Dunque il filosofo, un tempo collocato a sinistra anche radicale, ha proposto la costituzione di un «impero latino» promosso dalle tre grandi nazioni latine (Francia, Spagna e Italia), in accordo con la Chiesa cattolica e aperta ai paesi del Mediterraneo. Il suo sogno, lo scrive esplicitamente sul sito di Quodlibet, è addirittura la creazione di un Impero europeo simile a quello austro-ungarico o all’Imperium vagheggiato da Dante nel De monarchia. Agamben trae lo spunto dal filosofo Alexandre Kojève, ma la sua idea di impero lo accomuna ad altri pensatori viventi come Remi Brague, Massimo Cacciari, e perfino Alain de Benoist.

Agamben sostiene che nella situazione estrema in cui ci troviamo, proprio un modello politico così antico può ritrovare un’inaspettata attualità. La premessa necessaria per questa riscoperta, spiega il filosofo, è che i cittadini degli stati nazionali europei ritrovino un legame con i propri luoghi e con le proprie tradizioni culturali e si proiettino nell’idea di una cittadinanza europea, incarnata non in un parlamento o in oscure commissioni, ma in un potere simbolico simile al Sacro Romano Impero. Il problema se un tale Impero europeo sia o meno possibile, dice Agamben, non c’interessa né corrisponde ai nostri ideali: nondimeno assume un significato particolare se si prende coscienza che l’attuale comunità europea non ha oggi alcuna reale consistenza politica e si è anzi trasformata, come tutti gli stati che ne fanno parte, in un organismo malato che corre più o meno consapevolmente verso la propria autodistruzione. Così parlò Agamben il 6 febbraio scorso.

Resto perturbato e commosso. E’ un ideale altissimo, magnifico, e al tempo stesso quanto di più lontano ci possa essere oggi dalla realtà e dagli uomini che guidano l’Europa, le nazioni, i poteri. Ed è un ideale che già ai tempi di Dante apparve irrealizzabile. Sarebbe anche curioso tradurre questa speranza d’Impero nella figura di un Imperatore. Ma Agamben ha fatto i conti con l’unico impero vigente nel nostro tempo globale, che è il Capitalismo? Sissignori, e arriva a una conclusione rigorosa e sconvolgente. Sostiene infatti che il capitalismo che si va consolidando su scala planetaria non è più quello occidentale: è, piuttosto, il capitalismo nella sua variante comunista, che unisce un rapido sviluppo della produzione con un regime politico totalitario. Questo, avverte il filosofo in una nota pubblicata sempre su Quodilibet il 15 dicembre scorso, è il significato storico di guida che sta assumendo la Cina non solo nell’economia, ma anche come forma di governo, come l’uso politico della pandemia ha mostrato. E non abbiamo fatto i conti con la tecnoscienza e il transumano, aggiungo io.

I regimi instaurati nei paesi comunisti erano una particolare forma di capitalismo di Stato, adatta ai paesi economicamente arretrati, riflette il filosofo, ma nessuno si aspettava che questa forma di capital-comunismo, che aveva fallito, fosse invece destinata a diventare, in una configurazione tecnologicamente aggiornata “il principio dominante nella fase attuale del capitalismo globalizzato”. Agamben ipotizza che sia in corso un conflitto fra il capitalismo occidentale, che conviveva con lo stato di diritto e le democrazie borghesi e il nuovo capitalismo comunista; e da questo scontro quest’ultimo sembra uscire vittorioso. Quel che è certo, prosegue il filosofo, è che il nuovo regime unirà in sé l’aspetto più disumano del capitalismo con quello più atroce del comunismo statalista, coniugando l’estrema alienazione dei rapporti fra gli uomini con un controllo sociale senza precedenti.

Insomma, se avete capito quel che ho capito io, in una prospettiva escatologica, il conflitto finale che si sta preparando nei cieli, prima che in terra, è tra un Sacro Romano Impero e i suoi potenziali alleati nel mondo, e il capitalismo comunista, che unifica in una sola figura i due “mostri” che hanno dominato nella seconda metà del novecento: il comunismo e il capitalismo. E’ il conflitto finale tra il Katechon, colui che frena la dissoluzione e l’Anticristo, su cui hanno scritto lo stesso Agamben e Cacciari.

Sconvolgente. Mentre in terra e dalle nostre parti ci dibattiamo su Sanremo, le Olgettine e il Salone del Libro, in cielo si sta preparando una battaglia radicale di Grande Politica, che solo i filosofi apocalittici riescono a vedere. Curioso che questa visione non provenga da un Papa, un Padre della Chiesa, un Profeta, un Pensatore della Tradizione ma da un filosofo che scrive sul Manifesto. Da Carlo Marx a Carlo Magno. L’aspetto tragico e surreale della questione è che il nemico da battere è vivo e reale, invece il suo rimedio, il Katechon, è nell’alto dei cieli. Dunque, aspettiamo la divina provvidenza o speriamo solo nell’umana imprevidenza? Intanto respiriamo un alito di Storia, Pensiero e Sacro in un’epoca che li nega.

La Verità – 19 febbraio 2023

https://www.marcelloveneziani.com/articoli/per-salvarci-dallunione-europea-ce-solo-il-sacro-romano-impero/

 

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Giorgio Agamben.  L’impero latino

Nel 1947 un filosofo, che era anche un alto funzionario del governo francese, Alexandre Kojève, pubblicò un testo dal titolo L’impero latino, sulla cui attualità conviene oggi tornare a riflettere. Con singolare preveggenza, l’autore affermava senza riserve che la Germania sarebbe diventata in pochi anni la principale potenza economica europea, riducendo conseguentemente la Francia al rango di una potenza secondaria all’interno dell’Europa continentale. Kojève vedeva con chiarezza la fine degli stati-nazione che avevano fino allora segnato la storia dell’Europa: come l’età moderna aveva significato il tramonto delle formazioni politiche feudali a vantaggio degli stati nazionali, così ora gli stati-nazione dovevano cedere inarrestabilmente il passo a formazioni politiche che superavano i confini delle nazioni e che egli designava col nome di “imperi”. Alla base di questi imperi non poteva essere, però, secondo Kojève, una unità astratta, che prescindesse dalla parentela reale di cultura, di lingua, di modi di vita e di religione: gli imperi – come quelli che egli vedeva già formati davanti ai suoi occhi, l’impero anglosassone (Stati Uniti e Inghilterra) e quello sovietico – dovevano essere “unità politiche transnazionali, ma formate da nazioni apparentate”. Per questo, egli proponeva alla Francia di porsi alla testa di un “impero latino”, che avrebbe unito economicamente e politicamente le tre grandi nazioni latine (insieme alla Francia, la Spagna e l’Italia), in accordo con la Chiesa cattolica, di cui avrebbe raccolto la tradizione e, insieme, aprendosi al mediterraneo. La Germania protestante, egli argomentava, che sarebbe presto diventata, come di fatto è diventata, la nazione più ricca e potente in Europa, sarebbe stata attratta inesorabilmente dalla sua vocazione extraeuropea verso le forme dell’impero anglosassone. Ma la Francia e le nazioni latine sarebbero rimaste in questa prospettiva un corpo più o meno estraneo, ridotto necessariamente al ruolo periferico di un satellite. Proprio oggi che l’Unione europea si è formata ignorando le concrete parentele culturali può essere utile e urgente riflettere alla proposta di Kojève. Ciò che egli aveva previsto si è puntualmente verificato. Un’Europa che pretende di esistere su una base esclusivamente economica, lasciando da parte le parentele reali di forma di vita, di cultura e di religione, mostra oggi tutta la sua fragilità, proprio e innanzitutto sul piano economico. Qui la pretesa unità ha accentuato invece le differenze e ognuno può vedere a che cosa essa oggi si riduce: a imporre a una maggioranza più povera gli interessi di una minoranza più ricca, che coincidono spesso con quelli di una sola nazione, che sul piano della sua storia recente nulla suggerisce di considerare esemplare. Non solo non ha senso pretendere che un greco o un italiano vivano come un tedesco; ma quand’anche ciò fosse possibile, ciò significherebbe la perdita di quel patrimonio culturale che è fatto innanzitutto di forme di vita. E una unità politica che pretende di ignorare le forme di vita non solo non è destinata a durare, ma, come l’Europa mostra eloquentemente, non riesce nemmeno a costituirsi come tale. Se non si vuole che l’Europa si disgreghi inesorabilmente, come molti segni lasciano prevedere, è consigliabile mettersi fin d’ora a pensare a come la costituzione europea (che, dal punto di vista del diritto pubblico, è bene ricordarlo, non è una costituzione, ma un accordo fra stati, che, come tale, non è stato sottoposto al voto popolare e, dove lo è stato, come in Francia e in Olanda, è stato clamorosamente rifiutato) potrebbe essere riarticolata diversamente, provando a restituire una realtà politica a qualcosa di simile a quello che Kojève chiamava l’Impero latino.

Giorgio Agamben, “La Repubblica”, 13 marzo 2013

https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-impero-latino    (12 giugno 2018)

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Giorgio Agamben. L’Impero europeo

Milosz ha osservato una volta che la condizione degli scrittori dell’«altra Europa» (così chiama la Mitteleuropa) era «appena immaginabile» per i cittadini degli stati dell’Europa occidentale. Parte di questa eterogeneità veniva dalla mancanza di stati nazionali e dalla presenza in loro luogo, per secoli fino alla fine della Prima guerra mondiale, dell’Impero asburgico. Per noi che siamo nati in uno stato nazionale e non distinguiamo l’essere italiano dall’essere cittadino italiano, non è facile immaginare una situazione in cui essere italiano, ungherese, ceco o ruteno non significava un’identità statuale. Il rapporto col luogo e con la lingua dei cittadini per i cittadini dell’impero era certamente diverso e più intenso, libero com’era da ogni implicazione giuridica e da ogni connotazione nazionale. L’esistenza di una realtà come l’Impero asburgico era possibile solo su questa base.

È bene non dimenticarlo quando vediamo oggi che l’Europa, che si è costituita come un patto fra stati nazionali, non solo non ha né ha mai avuto alcuna realtà al di fuori della moneta e dell’economia, ma è oggi ridotta a un fantasma, di fatto integralmente assoggettato agli interessi militari di una potenza ed essa estranea. Tempo fa, riprendendo un suggerimento di Alexandre Kojève, avevamo proposto la costituzione di un «impero latino», che avrebbe unito economicamente e politicamente le tre grandi nazioni latine (insieme alla Francia, la Spagna e l’Italia) in accordo con la Chiesa cattolica e aperta ai paesi del mediterraneo. Indipendentemente dal fatto che una tale proposta sia o meno tuttora attuale, vorremmo oggi portare all’attenzione degli interessati che se si vuole che qualcosa come l’Europa acquisisca una realtà politica autonoma, ciò sarà possibile solo attraverso la creazione di un’Impero europeo simile a quello austro-ungarico o all’Imperium che Dante nel De monarchia concepiva come il principio unitario che doveva ordinare come «un ultimo fine» i regni particolari verso la pace. È possibile, cioè, che, nella situazione estrema in cui ci troviamo, proprio modelli politici che sono considerati del tutto obsoleti possano ritrovare un’inaspettata attualità. Ma per questo occorrerebbe che i cittadini degli stati nazionali europei ritrovassero un legame con i propri luoghi e con le proprie tradizioni culturali abbastanza forte da poter deporre senza riserve le cittadinanze statuali e sostituirle con un’unica cittadinanza europea, che fosse incarnata non in un parlamento e in commissioni, ma in un potere simbolico in qualche modo simile al Sacro Romano Impero. Il problema se un tale Impero europeo sia o meno possibile non c’interessa né corrisponde ai nostri ideali: nondimeno esso acquisisce un significato particolare se si prende coscienza che l’attuale comunità europea non ha oggi alcuna reale consistenza politica e si è anzi trasformata, come tutti gli stati che ne fanno parte, in un organismo malato che corre più o meno consapevolmente verso la propria autodistruzione.

Giorgio Agamben

https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-u2019impero-europeo    (6 febbraio 2023)