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Mediterraneo multipolare, ovvero la sfida di un futuro migliore (di Lorenzo Maria Pacini).

Il MARE NOSTRUM nei confini dell’Impero Romano

 

Preambolo della Redazione

Ringraziamo il prof. Pacini per averci cortesemente concesso di riproporre il suo presente articolo.

Lo facciamo con convinta condivisione, in quanto riteniamo di fondamentale importanza focalizzare ancora e sempre l’attenzione sul quadro geopolitico rappresentato dal Mar Mediterraneo, il romano Mare Nostrum, alla luce della sua storica funzione di snodo di una simbolica convergenza  “cruciforme” tra Est ed Ovest, Nord e Sud.

L’auspicio rimane, da parte nostra, che il Mediterraneo riprenda la propria funzione di culla di quel Sacrum Imperium che già lo vide quale protagonista nell’unione e nell’arricchimento culturale e spirituale di tanti popoli e civiltà.

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Il vecchio cuore del mondo

Nell’ampia e dettagliata riflessione internazionale sulla geopolitica, c’è la tendenza a riflettere sui massimi sistemi intercontinentali, concentrandosi perlopiù sulle due macropotenze che il Novecento ha consacrato, vale a dire Stati Uniti d’America e Federazione Russa, assumendole come riferimenti in maniera pressoché univoca; qualora si presentino nuove grandi potenze, come avviene dall’inizio di questo nostro secolo, si tenta di fare un paragone con le due potenze maggioritarie e si studiano le relazioni e i legami che sono presenti con esse. Ciò manifesta, a mio parere, una sorta di vizio di forma del tutto legittimo ma allo stesso tempo necessario di revisione.

La geopolitica, infatti, ha dato sin dal suo fondamento uno spazio privilegiato alla geografia, che è una delle scienze che la compongono, mettendo in secondo piano la storia, un posizionamento più afferente alle funzionalità che alla importanza disciplinare. Senza quindi discriminare maldestramente, si è però creata una sorta di bolla dell’eterno presente (o eterno futuro) in cui avvengono molte analisi geopolitiche, omettendo il passato e la costruzione storiografica degli eventi geopolitici, la cui comprensione è indispensabile non soltanto per capire il presente, ma soprattutto per suggerire una direzione al futuro.

Pensiamo al Mediterraneo. Esso è cuore del cosiddetto “Vecchio Mondo”, accezione quest’ultima che proviene dall’ideologia dell’occidentalismo americano, permeante ormai da decenni l’Europa, per il quale la recisione dei nessi che hanno legato i popoli europei con il proprio contesto geografico e geologico è stato un dovere primario. La fisionomia dell’Europa ha subito nel giro di un secolo un rimodellamento molto forte, decentrandosi dal Mediterraneo che ne era stato la culla dei modelli di civiltà e dei grandi imperi, per spostarsi fra Londra e Bruxelles, molto più a nord rispetto alla storicità dei fatti. Una variazione non soltanto geografica, bensì esistenziale e, dunque, noologicamente parlando, capace di mutare irreversibilmente il manifestarsi dello spirito dei popoli che abitano il continente.

Se Halford Mackinder fosse nato due o tre secoli prima, probabilmente avrebbe pronunciato diverse parole circa l’Heartland, che potremmo mutuare come segue: “Chi controlla il Mediterraneo, controlla il mondo”. Il Mediterraneo allora non è il “cuore del Vecchio Mondo” ma il “vecchio cuore del mondo”, perché fino al disallineamento verso l’Atlantico delle strutture di potere, il Mediterraneo è stato il centro nevralgico e l’oggetto di brama e conquista. Dando un rapido sguardo alla storia europea, questo pare essere stato il leit motiv di secoli, dagli antichi greci fino ad almeno la Grande Guerra. Controllare il mediterraneo, definito come mare chiuso e, per tale ragione, estremamente prolifico, ricco e strategicamente vantaggioso, significava avere il controllo su tutto il mondo di allora. Perché a tutti gli effetti, il Mediterraneo non è semplicemente la parte sud del continente Europa, con la protesi geografica italiana e le sue isole; non è nemmeno solo un po’ d’acqua chiusa fra meravigliose coste fertili; è, anzitutto, dominio.

Il Mediterraneo è sempre stato un grande spazio aperto ove sono confluite molteplici entità diverse fra loro, i cui destini si sono intrecciati fin dalle epoche più remote, tessendo flussi con fitte trame relazionali che hanno generato una ricchezza di identità, culture, arti e tecniche tanto da far ancora oggi impallidire ed appassionare qualsiasi altro popolo. Una riconsiderazione della sua importanza, senza per tale ragione voler sovvertire i canoni “classici” della geopolitica come scienza, può comunque dare una spinta a riflessioni ed analisi a caratteri differenti rispetto all’usuale occidentalo-centrismo delle scienze politiche contemporanee.

Il Mare è multipolare

Il mare ha un afflato multipolare molto potente. Il Mediterraneo è, come già accennato, multipolare per sua stessa costituzione, perché ha continuamente vissuto il controllo e l’incontro-scontro di una miriade di cellule territoriali, etnie, lingue, religioni, economie distribuite ai bordi dell’universo marittimo. È il mare nostrum che abbiamo scritto nel sangue, è il luogo della competizione tra potenze regionali e globali. Il mare lambisce e permette di raggiungere più poli della scacchiera geopolitica, costituendo lo spazio prediletto per gli spostamenti di larga scala; ricopre, inoltre, la maggior parte dell’intero globo, e conserva al suo interno le risorse principali che mandano avanti l’economia internazionale.

Diamo ancora, però, uno sguardo alla storia: l’Impero Romano è genericamente considerato una potenza tellurocratica. Roma, però, si espanse non soltanto grazie alle legioni che percorrevano i vasti altipiani centroeuropei, arrivando fino ai confini delle grandi montagne ad est, ma anche e sin da subito verso la terraferma scrutabile attraversando il grande mare. La ricchezza multietnica e multiculturale delle conquiste di quello che divenne l’Impero ebbe luogo proprio grazie al mare. Una coincidenza di domini strategici e dottrinali che è probabilmente unica nel suo genere su tutto il pianeta. Tale grandezza è stata anche economica proprio grazie al mare, che ha permesso di commerciare sin da subito con l’Oriente e con il Sud, tracciando una fittissima rete di rotte commerciali in acqua e sulla terraferma, così ben fatte che ancora oggi funzionano egregiamente.

Nel bacino del Mediterraneo, l’Italia[1] è (o, meglio, dovrebbe essere) per sua natura detentrice della leadership strategica, un protagonismo che è stato decisamente contrastato negli ultimi ottant’anni. Questa proiezione naturale è cuore della nostra politica estera da prima che l’Itali fosse uno Stato unitario, così come l’Europa non può illudersi di fare a meno di interessarsi a cosa accade in questa regione. L’Unione Europa e la NATO[2] hanno ben presente questa collocazione strategica, tanto che proprio sui popoli del Mediterraneo sono puntate sia le politiche di soft power, sia i posizionamenti delle alleanze internazionali[3][4][5].

Il concetto stesso di Mediterraneo Allargato, considerando il mare di riferimento come un dominio multidimensionale complesso capace di incorporare l’Europa continentale, il Medio Oriente e le fasce settentrionali e sub-Sahariana del continente africano, nonché di collegare con il Lontano Oriente e, ovviamente, di aprirsi ad ovest verso l’Oceano, è una continuazione ideale e strategica del mare nostrum di romana memoria[6].

Cartagine disallineata, Roma occupata e la Storia rovesciata

Si comprende come mai gli interessi strategici del polo anglo-americano, che costituisce la talassocrazia per antonomasia, siano stati quelli di soggiogare il Mediterraneo coi suoi popoli. Un certo livello di controllo, sia diretto che indiretto, avrebbe garantito lo sfruttamento di quel mare in maniera funzionale all’espansionismo egemonico, ma anche la possibilità di mantenere limitate ed entro un limite di gestibilità la crescita e ripresa degli Stati-Nazione europei a seguito del primo e del secondo conflitto mondiale. Sottomettere i governi che lambiscono il Mediterraneo garantisce di controllare il Mediterraneo, e ciò è avvenuto militarmente, finanziariamente e politicamente, nell’arco di poco più di un secolo di relazioni internazionali, conflitti armati e crisi economiche, ma sempre con una trama precisa e coerente.

Cartagine, acerrima nemica di Roma, è oggi disallineata e decentrata, non si trova più geograficamente dove stava prima ma è collocata fra Londra e Washington e da lì ha operato con successo il piano di riappropriazione di quel mare che governava anticamente. Le colonne di Ercole sono state superato, non sono più un temibile confine naturale e metafisico della sussistenza dei popoli mediterranei. La Storia è in un certo senso rovesciata perché Roma non ha più potere ed è sottomessa agli eredi di Cartagine, fino al punto di suggerire la non-esistenza di una civiltà mediterranea, il che è possibile ammettendo la continuazione di un mondo non-multipolare, ma unipolare, ad egemonia atlantica. Roma è, in un certo senso, occupata dagli emissari di Cartagine.

Le potenze del Mediterraneo[7] hanno in sé un enorme potenziale di rivalsa nei confronti del polo anglo-americano; potenziale che, però, non è almeno ipoteticamente in grado di affrontare da solo le proporzioni di un conflitto talassocratico mondiale, dove per congiunzione di elementi il polo anglo-americano è comunque più grande, forte ed organizzato. Strategicamente, l’eventualità di un conflitto per la riacquisizione dell’indipendenza significherebbe uno sforzo talmente grande da rischiare l’annientamento; similmente, sul piano economico, ciò prevederebbe un’autonomia sufficientemente forte da far sganciare il Mediterraneo da ogni partenariato e dipendenza economica e politica internazionale.

La dislocazione di Cartagine non è però la dislocazione del Mediterraneo e dei suoi popoli, il che significa che vi è ancora un potenziale attuabile di riconquista.

Un partenariato del Mediterraneo

A conclusione di questa trattazione, auspicando la riaffermazione in chiave multipolare del Mediterraneo coi suoi popoli, è interessante lanciare una proiezione su un possibile partenariato del Mediterraneo, composto dai Paesi che ne sono bagnati e che hanno sufficiente interesse strategico, geopolitico e geoeconomico, a riaffermare l’autonomia macroregionale e il riequilibrio fra il dominio di Terra e quello di Mare, fulcro della grandezza storica dell’Europa.

Tale partenariato è fattualmente già possibile e in una certa misura il decentramento amministrativo e strategico della NATO, potrebbero sostenere alcuni, già rappresenta una simile alleanza. In verità, è proprio in ottica di sganciamento dalla dipendenza atlantica, e solo in tale rotta, che sarà possibile un’autonomia mediterranea integrale. Sempre in ottica multipolare, il partenariato del Mediterraneo consentirebbe al ricostituzione di vecchi trattati e alleanze che permetterebbero agli Stati del bacino di consolidarsi come centro nevralgico fra Europa, Eurasia, Asia, Medioriente, Africa, con la possibilità di consolidare un blocco strategico talmente forte da lasciare il continente americano in secondo piano rispetto alla iper-regione “ad est”.

Un siffatto accordo internazionale riaprirebbe le porte a un enorme rafforzamento delle alleanze in chiave europea – e non necessariamente secondo il modello della Unione Europa -, sia sul piano economico che su quello strategico, rafforzando il blocco continentale e rendendolo punto di riferimento non abdicabile per le rotte e le frontiere del “vecchio mondo”, così come, d’altronde, è stato nei secoli di presenza degli imperi europei. È difficile oggi pensare ad un’Europa mediterrano-centrica, e non atlantico-centrica, perché una volta persa l’indipendenza domestica e internazionale, i legami stabiliti hanno provocato una sottomissione talmente forte da far dipendere la sussistenza stessa delle istituzioni politiche. È difficile, ancora, pensare ai Paesi europei, in primis l’Italia, come potenze economiche che possano dettare la rotta dei mercati, e non subirle.

È proprio questa prospettiva di prosperità (gioco di parole voluto) che gli Stati Uniti non vogliono, ma che gli europei, i mediterranei, sono chiamati a riconquistare.

 

Questo articolo è stato pubblicato nel seguente blog:

www.domus-europea.eu  (06.06.23)

 

NOTE

[1] Bisognerebbe chiarire, ma non è questa la sede, se l’Italia sia una potenza “più” di Mare o di Terra, laddove nel corso della Storia, anche semplicemente di quella dello Stato unitario, essa ha variato più volte la predominanza strategica.

[2] Il Mediterraneo costituisce il “fianco sud” dell’Alleanza Atlantica, una definizione che già rende l’idea della sottomissione geopolitica. I Paesi partner svolgono una duplice funzione: cooperativa, ovvero di interazione e di diplomazia militare verso i Paesi partner nella regione, anche nell’ambito di iniziative multilaterali; operativa, di presenza e deterrenza.

[3] L’esperienza del fallimento della Grecia, tragico episodio della Storia contemporanea, è un possibile esempio di cosa succede ai Paesi che non si allineano alla decisione di Bruxelles e di Washington di restare sottomessi ad una potenza d’oltreoceano.

[4] L’Italia trovandosi al centro del Mediterraneo recepisce anche la quasi totalità dei flussi migratori, alimentati da una serie di concause, situazione che influenza le relazioni fra Alleati e Stati Membri europei.

[5] Non si deve omettere il contesto delle guerre ibride entro cui la zona grigia fa sì che la sfumatura fra Difesa e Sicurezza e fra conflitti domestici e internazionali sfumi sempre di più.

[6] Nel suo complesso, il Mediterraneo Allargato rappresenta un’area caratterizzata da instabilità, incertezza e da un articolato dinamismo derivante dal conflitto in Libia, dalle tensioni al confine tra Marocco e Algeria, dalla crisi politica tunisina, dalla questione irrisolta della sovranità territoriale del Sahara occidentale. A ciò si aggiunge il quadro securitario del Sahel fortemente degradato, pervaso dalla presenza distribuita di DAESH, l’insicurezza del Golfo di Guinea, definito dall’IMB (International Maritime Bureau) hot-spot mondiale della pirateria e, del Corno d’Africa. Permangono l’instabilità yemenita,  i suoi riflessi su Bab El Mandeb e la crisi in Etiopia legata alla regione del Tigray, al confine con l’Eritrea. Senza dimenticare, nelle zone esterne al “triangolo”, la perdurante fragilità dell’area balcanica e del Libano, la crisi siriana, le competizioni energetiche e territoriali nel Mediterraneo Orientale, la recrudescenza della crisi ucraina e quella al confine turco-siriano, fino all’instabilità irachena e all’innalzamento della tensione nell’area del Golfo Persico, con attacchi ripetuti al naviglio mercantile e, più recentemente, ai Paesi costieri.

[7] Ammesso che di potenze si possa parlare.