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DARIA: l’incrocio degli eroismi solari (di Cosmo Intini)

 

NELLA RICORRENZA DEL PRIMO ANNO DAL MARTIRIO DI DARIA DUGINA

Preambolo

 

20 agosto 2022 – 20 agosto 2023: un anno si è compiuto e il sole ha completato la sua danza siderea.

Dopo un circolare susseguirsi di volute ascendenti e discendenti, di allontanamenti e di riavvicinamenti, di luminosità e di adombramenti, di frigidezze e di ardori, Elios ha infine ripreso una medesima posizione nel cielo a ricordarci che ad ogni inizio corrisponde una fine: ed ogni fine corrisponde a un nuovo inizio.

Mirabile saggezza: partire per ritornare e tornare per ripartire. Panta rei eracliteo, corsi e ricorsi vichiani, eterno ritorno nietzschiano…

Eppure non è tutto. Se ciò è quel che appare, in esso ‘late’ ancora un’ulteriore e più sottile verità.

Qualora ci si ponga dal punto di vista del sole, infatti, vedremmo esser piuttosto noi che vortichiamo su noi stessi, nella frenetica ambizione di andare verso dove sempre già ‘siamo’. In fin dei conti, dunque, rispetto al sole non progrediremo mai verso alcun dove, nell’illusione di esserne indipendenti.

Maggior mirabile saggezza: recuperare la consapevolezza dell’heideggeriano Dasein[1], per vivere ‘autenticamente’ l’hic et nunc del nostro appartenere all’essere.

Ma ancora una volta non è tutto. Se alla ciclicità spazio-temporale accostiamo l’immagine di una circonferenza ed al sole quella del suo centro, si configura un’ulteriore più ‘latente’ verità.

Ponendoci secondo una prospettiva simbolico-geometrica, notiamo in effetti come la circonferenza esista, spazio-temporalmente, solo in quanto serie indefinita di punti, tutti ‘equidistanti’ dalla ‘presenza’ di un medesimo ed unico punto centrale[2].

Bene. Intuiamo, allora, che quel punto manifesta la sua sussistenza spazio-temporale proprio e solo attraverso il contestuale manifestarsi di quella circonferenza che esso determina e che lo corona.

Ma potremmo mai dire che esso punto mantenga una certa qual sua infinita ed eterna ‘giustificazione’, anche se non venga a manifestarsi con la circonferenza?

Certamente. Visto che l’equidistanza è stabilita da lui e riferita solo a lui, e non dai punti della circonferenza che semmai dall’equidistanza traggono origine, come possiamo infatti negargli il mantenimento di un certo suo sovrano ‘potere’, ovvero di una sua ‘latente potenzialità’[3].

Insomma, non ci è proprio possibile non ammettere che, indipendentemente dal manifestarsi attraverso una Sua ‘creazione’, Dio Creatore non debba mantenere in sé, giacente e immanifesto, il proprio ‘potere creativo’.

Mirabile sapienza: ecco il dughiniano (e guenoniano) Sole di mezzanotte; ossia ciò che si pone alla base sia della luce che del buio, sia del sole diurno che della sua negazione notturna. Con la propria paradossalità tale simbolo travalica ogni ciclicità e si pone oltre l’indefinitezza spazio-temporale, oltre la vita e la morte. Esso, cioè, diviene per noi suggerimento, estrema espressione di quel che è veramente ‘eterno, infinito’.

 

Anniversario

 

Dunque: il 20 agosto 2023 non è solo il primo anniversario della morte di Daria Dugina, ma è soprattutto il momento in cui il sole diurno evoca parimenti – in maniera ‘latente’ – il brillare del Sole di mezzanotte all’interno di colei che, meglio di tanti, ha incarnato la figura di quel Soggetto Radicale teorizzato da suo padre Aleksandr.

Non aveva questi detto, infatti, che «occorre realizzare il Soggetto Radicale a proprio rischio e pericolo», o che «in epoca moderna, egli ha la morte accanto», o che «il Soggetto Radicale dona all’uomo moderno il senso della morte»[4]?

Tutto ciò Daria l’ha percorso sino in fondo: con oggettiva e piena adesione ad un destino non tanto pianificato, quanto piuttosto vissuto.

Tale è, del resto, la sottilissima differenza che distingue il ‘dire di voler essere’ e l’effettivo ‘decidere di già essere’.

 

Eroismo solare del Soggetto Radicale

 

Non c’è dubbio: il Soggetto Radicale è un eroe e Daria lo è stata. Tuttavia, qui il senso del termine non va inteso secondo l’ottica fuorviata e ristretta che viene adottata dal comune pensiero moderno; per la qual cosa, l’eroe sarebbe meramente colui che compie azioni eccezionali, ovvero fuori da ogni norma dell’ordinario quotidiano.

Al contrario, l’eroe è proprio colui che più di tutti si conforma con una norma; che a dir il vero è poi la Norma per eccellenza: quella dettata dall’Ordine cosmico e stabilita da Dio al momento della Creazione.

Dice ancora Aleksandr, padre di Daria: «Il Soggetto Radicale mantiene la propria integrità di sempre…le cose cambiano, tutto cambia, ma non lui, che si mantiene uguale a sé stesso…egli è la radice dell’uomo»[5].

L’eroe è colui che ha il coraggio e la forza di ‘sacrificarsi’ (sacrum-facere) ponendosi via dal turbinoso roteare delle apparenze cicliche e così posizionarsi al ‘centro’ di esso vortice: lì ove ogni contrasto trova sintesi, quiete e pace[6]. In tutte le culture tradizionali, egli impersona sempre l’anima del proprio popolo, che riconosce in lui le proprie aspirazioni.

Va osservato, allora, che la parola che in greco traduce ‘eroe’, ηρως, non per nulla presenta una decisiva affinità fonetica col verbo ερωεω, il quale traduce a sua volta ‘scaturire, sgorgare’. L’eroe è insomma colui che si pone in relazione intima con quanto pertiene all’origine dell’essere, cioè a dire alla ‘fuoriuscita’ del manifesto dall’immanifesto (chaos); in coincidenza con la ‘Fonte della Vita’ posta al centro del Paradiso. E’ da lì che egli trae la propria forza ‘virile’ (lat. vis)[7].

D’altra parte, ηρως presenta parimenti affinità col sostantivo ερως, ‘amore’. E l’Amore – come dicevano i nostri padri che ne erano i Fedeli – non è infatti la forza che tiene unito e ordinato tutto l’Universo[8]?

 

Specularità ed incroci eroici

 

L’interminabile e sempre nuova varietà del Creato è indice della libertà che ne è all’origine. Tuttavia, questa non va confusa con l’anarchia propria di ciò che è senza regola.

Il Creato è libertà perché è anche Ordine: l’una non prescinde dall’altro (checché ne dica l’odierno ‘relativismo’).

Ecco perché non è improprio scorgere, pur nella loro varietà, la matrice comune che sorregge e accomuna gli eroismi. Pur nella diversità di contesti, lo storico ed il mitico si abbeverano insomma dalla stessa “Fonte di Vita” da cui l’‘eroicità’ sgorga sempre uguale a sé stessa.

Prendiamo Daria e poniamola ad esempio a confronto con Arwen Undòmiel, la bellissima principessa elfica presentata nella saga Il Signore degli Anelli di J.R.R. Tolkien: colei che rinuncia, per amore, alla propria immortalità di stirpe e a tutti i suoi privilegi, sì da poter divenire la sposa-regina dell’umano Re Aragorn, il prototipo di ogni Re terreno.

 

[Se è vero, come è vero, che ogni nomen coincide ontologicamente col proprio omen, ebbene i nomi di Daria ed Arwen condividono un’allusività alle medesime prerogative ontologiche]

ARWEN significa “nobile fanciulla”.

Seguendo Dante ed il tomismo, con ‘nobiltà’ deve intendersi il valore di eccellenza, buona qualità, elevatezza, distinzione di una cosa in rapporto alla sua propria natura o essenza. Dunque, essendo Dio l’Esse Ipsum, ossia la sede di tutte le perfezioni, anche la ‘nobiltà’ appartiene all’essenza dell’ente in forza dell’essere; e di conseguenza il grado di nobiltà corrisponde in misura equivalente al grado di partecipazione all’essere[9]. E’ sintomatico che per Dante, tra le varie cose, tale vocabolo possa riferirsi proprio ad Amore, così come all’elevatezza spirituale e quindi all’anima.

DARIA significa, da parte sua, “colei che possiede il bene” (Pers. Dārayavahuŝ, per via greca: Dareios).

Per Platone (e Daria amava denominarsi con lo pseudonimo di Platonova) il Bene è equiparabile al Sole, in quanto dà intelligibilità (visibilità) alle idee e all’anima capacità di capire. Plotino poi riprenderà la concezione platonica: il principio supremo che Platone denominava Bene, in lui viene più spesso indicato come Uno aformale. Secondo la scolastica, infine, Essere e Bene sono equivalenti: il Bene si identifica con l’Essere e le varie gradazioni dell’uno coincidono con l’altro. Dio è sommo Bene e sommo Essere; e le creature, in quanto create “a sua immagine e somiglianza”, sono buone in misura proporzionale a quanto la loro natura-essenza può ‘ricevere’ di Bene.

 

[Entrambe condividono uno speculare sentimento d’amore, rispetto a sé stesse e rispetto al loro popolo di appartenenza]

ARWEN per amore rinuncia all’immortalità (propria del suo popolo), scegliendo la mortalità dell’amato: «[…] la mia scelta è quella di Lùthien, e anch’io ho scelto come lei allo stesso tempo il dolce e l’amaro»[10].

Qui Arwen riprende il tema della storia fra Beren e Lúthien, narrata nel Silmarillion, nel quale, ancora una volta, un uomo si innamora di una donna elfica. L’alternativa consiste tra la dolcezza dell’amore e l’amarezza della perdita dell’immortalità.

DARIA, da parte sua, perviene all’immortalità attraverso la mortalità: e ciò, per amore del suo popolo.

Ecco quanto ha raccontato suo padre, in occasione della sua cerimonia funebre: «Non aveva paura, davvero. E l’ultima volta che abbiamo parlato al festival Tradizione, mi ha detto: “Papà, mi sento una guerriera, mi sento un eroe, […] voglio stare con il mio Paese. Voglio stare dalla parte leggera della forza”. […] Ho voluto crescere mia figlia nel modo in cui vedevo la persona ideale. Le prime parole che le abbiamo insegnato da bambina sono state “Russia”, “il nostro Stato”, “il nostro popolo” e “il nostro Impero”».

 

[Entrambe rappresentano una ‘stella’ che annuncia: Arwen annuncia una fine, Daria annuncia un inizio]

ARWEN è anche chiamata Undòmiel, che significa ‘Stella del Vespro del suo popolo’. Ella possiede un prezioso ciondolo, che porta il suo stesso nome e che è il simbolo dell’immortalità degli Elfi della Terra di Mezzo. Lo donerà poi a Frodo per proteggerlo dal ricordo dell’oscurità e delle ferite.

L’allusione al Vespro è qui significativa in quanto, al culmine della vicenda narrata, il popolo degli Elfi parte per non far più ritorno nella Terra di Mezzo, dacché si è ormai conclusa un’era. Il Vespro è il termine della luce elfica in quella determinata era, in quel determinato periodo temporale. Arwen rimarrà invece con Aragorn, rinunciando peraltro a seguire il proprio padre Re degli Elfi, a cui era tanto legata.

DARIA, da parte sua, è la Stella dell’Aurora del Soggetto Radicale che suo padre Aleksandr pone in relazione col Sole di mezzanotte. L’aurora è quel momento particolare che precede il passaggio dal buio alla luce del sole diurno, annunciandone il sorgere.

Col suo sacrificio Daria ha lasciato il proprio carissimo padre, per inaugurare davvero l’era del Soggetto Radicale.

 

[Entrambe sono collegate alla funzione Regale: l’una ne accompagna la morte, l’altra ne stimola la rinascita]

ARWEN è colei che assiste alla morte del Re di cui, nella saga, ella ha rappresentato sempre un’ispirazione ed una motivazione.

Aragorn, che significa ‘Re riverito’ o anche ‘Valore regale’, è il simbolo della Regalità terrena. Il suo secondo nome è Estel, che significa ‘speranza’. Ciò va preso nel senso cristiano del termine (e del resto, tutta l’opera tolkieniana è improntata a tale senso): infatti, tale ‘speranza’ è quella virtù teologale che indica un’aspettativa basata sulla certezza e non su di una probabilità.

Arwen lo vede morire, lei che sarà più longeva e dovrà vivere ancora a lungo, sola, in un mondo al suo crepuscolo (lei che è Stella del Vespro) e ha un momento di disperazione, mentre lui le chiede di avere ‘speranza’.

«Egli disse: “Ma non lasciamoci sopraffare dalla prova finale, noi che anticamente rinunciammo all’Ombra e all’Anello. In tristezza dobbiamo lasciarci, ma non nella disperazione. Guarda! Non siamo vincolati per sempre a ciò che si trova entro i confini del mondo, e al di là di essi vi è più dei ricordi. Addio!”. “Estel, Estel, ella gridò, e mentre gli prendeva la mano e la baciava egli si addormentò»[11].

DARIA, da parte sua, è chiaramente colei che muore nella convinta ‘speranza’ che presto giungerà la rinascita della Regalità, dello Tsar, dell’Impero e del suo popolo russo. Tutta la sua attività intellettuale, tutta la sua vita ne è testimonianza.

 

Solarità eroica di Daria e del profeta Elia

 

Vi è di più: col rivelare a suo padre che il proprio desiderio fosse quello di “voler stare dalla parte leggera della forza”, Daria pare porsi ancor più vicina a Dio.

Tale conclusione ci viene ispirata dalla nota vicenda biblica del profeta Elia: figura sulla cui ‘eroicità’ pare non esservi dubbio di sorta.

Nel passo di 1Re 19,11-13, infatti, si narra: «Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello».

E’ alquanto curioso che il nome ebraico Elia mantenga una forte relazione col nome Elios, che in greco significa ‘sole’. Così come è emblematico che tale profeta non morì, ma ascese in corpo e anima verso il cielo con «un carro di fuoco e cavalli di fuoco» (2Re 2,11), il quale è un chiaro simbolismo ancora una volta, appunto, solare.

La figura di tale profeta è spesso accostata a quella del Cristo. Egli è presente nell’episodio della Trasfigurazione (Mt 17,1-8; Mc 9,2-8; Lc 9,28-36) e, secondo un’esegesi del passo Ap 11,3-12, Elia sarebbe uno dei due testimoni mandati da Dio per opporsi all’Anticristo, e compirà la sua missione di profeta per 1260 giorni, dopo di che verrà ucciso. Ma la sua sarà solo una morte temporanea. Infatti dopo tre giorni e mezzo, il soffio del Signore lo farà rialzare, e salirà nuovamente al cielo in una nube.

Il valore ‘solare’ di Elia ben si confà, dunque, a Daria ed al rapporto che lei mantiene col Sole di mezzanotte, oltre che col valore ‘escatologico’ rappresentato dalle vicende recenti che la Russia sta affrontando.

Ma vi è un’ulteriore circostanza che lega ‘sottilmente’ Daria al profeta Elia: una circostanza di carattere simbolico-calenDariale[12].

La sua data di morte cade esattamente dopo un mese dal giorno in cui il santo profeta viene ricordato: ossia il 20 luglio. E ciò ha un senso.

Ad un livello metatemporale, il dies natalis di Daria (il giorno della sua nascita al Cielo) si pone quasi come un ‘trigesimo’ rispetto a quello dedicato ad Elia.

La tradizione del ‘trigesimo’ prende le mosse non solo dalla vicenda biblica, narrata in Nm 20,30 e Dt 34,8, riguardante il fatto che Aronne e Mosè furono pianti dal popolo per trenta giorni. Accanto a ciò, va tenuto infatti conto che ‘trenta’ rappresenta il numero di anni durante i quali Gesù visse la propria cosiddetta ‘vita nascosta’.

Alla luce di questo, il battesimo del Signore, avvenuto appunto a trent’anni, cioè all’inizio della sua ‘vita pubblica’, si pone in analogia col Sole di mezzanotte in quanto momento di passaggio dall’immanifesto al manifesto.

La tradizione riconosce che ‘trenta anni’ rappresenti dunque l’età perfetta per cominciare un’attività legata all’autorevolezza.

Per questo nella Genesi si legge che “Giuseppe aveva trent’anni” (Gn 41,46) quando prese in mano le sorti dell’Egitto. Così pure di Davide si legge che “aveva trent’anni quando cominciò a regnare” (2 Sam 5,4). Ed Ezechiele cominciò a profetare “nell’anno trentesimo della sua età” (Ez 1,1).

Questo rapporto di analogia si specifica ancor meglio ricordando che Elia, uomo virtuoso e austero, vestiva un mantello di pelle di cammello sopra a un semplice grembiule stretto ai fianchi, prefigurando così, con otto secoli di anticipo, Giovanni il Battista.

Dotato di un cuore da guerriero e di un intelletto raffinato, Elia unisce nel suo animo il fuoco ardente della fede e lo zelo nei confronti del Signore.

 

Conclusioni

 

Alla luce di tutto ciò, risulta emblematico che il dies natalis di Daria sia ricorso a poco meno del compimento proprio del suo ‘trentesimo compleanno’ (n. 15/12/1992 – m. 20/08/2022).

Ella beneficia dello stesso fuoco ed ardore ‘solare e guerriero’ che contraddistingue Elia Profeta; ed è oltretutto per questo che il martirio da lei vissuto si è costituito quale suo vero e proprio ‘battesimo di fuoco’: in senso esteriore ed interiore.

Daria, specularmente all’elfica Arwen-Stella del Vespro, ha peraltro superato la mortalità per conformare la propria essenza con l’immortalità, entro le cui sfere oggi e sempre lei splende solarmente quale Aurora del Soggetto Radicale.

Amen.

Questo articolo è stato pubblicato nel seguente blog:

www.geopolitika.ru/it/article/  (20.08.23)

e sui seguenti canali Telegram:

Idee&Azione  (20.08.23)

Alexander Dugin / Z   (20.08.23)

NOTE

[1] Con Dasein (ted. = esser-ci), Heidegger introduce quel termine tecnico su cui fonda il proprio pensiero ‘esistenzialista’, mirante al recupero dell’essere dopo averlo liberato dall’oblio in cui è caduto a causa dell’ente.

[2] Tale è l’ente.

[3] Tale è l’essere.

[4] Cfr. A.DUGIN, Il Sole di mezzanotte. Aurora del Soggetto Radicale, AGA Editrice, Cusano Milanino 2019, p. 21 sgg.

[5] Ibidem.

[6] L’episodio dell’Odissea in cui Ulisse si lega all’albero maestro della sua nave (simbolo dell’axis mundi), per sfuggire al canto delle sirene, ne è un simbolico e poetico esempio.

[7] ἥρως era, in origine, ϝηρως (veros); successivamente, la prima consonante verrà aspirata. Infatti, andando ancora più a ritroso, troviamo il sanscrito vir-a = eroe, forte da cui anche il latino vir = uomo vigoroso.

E’ emblematico che, in origine, il termine si pronunciasse ‘veros’, in quanto ciò lo pone in relazione con la latina ‘veritas’. Ben sappiamo infatti che, seguendo la lezione di Heidegger, la parola con cui si traduce in greco ‘verità’, ἀλήθεια, esprime il luogo dello ‘svelamento’ dell’essere, dacché significa «non nascondimento», essendo essa composta da alfa privativo (α) più λέθος. La ‘verità’ così intesa va quindi a coincidere esattamente col punto di passaggio tra immanifesto e manifesto.

[8] Cfr. DANTE, Paradiso, XXXIII, v. 145.

[9] Sulla nobiltà quale attributo esclusivo di Dio, estensibile alle creature solo in quanto queste possono venire assimilate, in misura diversa, a Dio stesso, cfr. “Quod per se habet esse, nobilius est eo quod habet esse in alio” (S. Tommaso. Cont. Gent. 1254); “gradus nobilitatis et vilitatis in omnibus entibus attenditur secundum propinquitatem et distantiam a Deo, qui est in fine nobilitatis” (I 593): criterio di una gerarchia perfetta fra le cose.

[10] J.R.R. TOLKIEN, Il Signore degli Anelli, Rusconi Libri, Milano 1977, p. 1162.

[11] Idem, p.1268.

[12] Abbiamo già presentato alcune osservazioni di carattere simbolico-calenDariale, legate al giorno della morte di Daria, nello scritto Daria Dugina: dies Natalis edescatologia, pubblicato sui siti:

www.ideeazione.com e www.reginaequitum.it.