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Lancillotto sciamano e il nome iniziatico (di Anna Airò)

 

Miniatura di Evrard d’Espinques da ‘Lancelot du lac’, Bibliothèque Nationale de France, 115 f. 367 v. (1470)

1. Lancillotto sciamano: tratti essenziali

«Le leggende medievali riferiscono di un ‘ponte nascosto sotto le acque’ e di un ponte-sciabola sul quale l’eroe (Lancellotto) deve passare con mani e piedi nudi. Questo ponte è ‘tagliente più di una falce’ e il passaggio avviene ‘con sofferenza ed agonia’. Il carattere iniziatico della traversata del ponte-sciabola è confermato da ancora un punto: Lancellotto scorge sull’altra riva due leoni, ma una volta giunto non trova più che una lucertola: il ‘pericolo’ scompare per il fatto che la prova iniziatica è stata superata»[1].

Questo brano, tratto da “Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi” di Mircea Eliade, racconta di Lancillotto e di come questi debba affrontare il Ponte della Spada per raggiungere il regno di Gorre dove si trova prigioniera la regina Ginevra. Tale ponte ha tutte le caratteristiche di un passaggio stretto che gli sciamani devono varcare per poter raggiungere l’‘altra dimensione’.

L’intera lettura del romanzo di Chrétien de Troyes[2] rivela una serie di coincidenze e similitudini tra l’eroe medievale e lo sciamano, che ci portano a pensare che Lancillotto sia divenuto il ricettacolo di un bagaglio tradizionale-culturale legato al fenomeno religioso dello sciamanesimo[3].

Come giustamente sottolinea Eliade, anche tra i popoli indoeuropei si possono individuare tracce e tratti sciamanici, soprattutto se ci si concentra sui fenomeni estatici e sulle tecniche magiche[4]. Seguendo tale suggestione Francesco Zambon sostiene che la presenza di elementi sciamanici nella letteratura medievale francese sia determinata dal sedimentarsi di narrazioni rituali che questo operatore del sacro raccoglie come esperienze di trance e riporta alla propria comunità. Zambon suggerisce inoltre che romanzieri e poeti potrebbero aver attinto da questo corpus di racconti mitici nelle loro opere letterarie ed individua una serie di elementi sciamanici nelle Folies Tristan[5].
La scelta del futuro sciamano avviene grazie a diversi fattori, quali l’ereditarietà e la vocazione spontanea rappresentata da numerose attitudini tipiche dell’eletto – ad esempio il rifiuto del consorzio umano e la scelta solitaria.

Le popolazioni sciamaniche agiscono privilegiando uno o più fattori, i quali confluiscono per individuare un’unica persona che viene definita eletta dagli spiriti. Anche nei romanzi arturiani si assiste ad una scelta dell’eroe, il quale è l’unico in grado di affrontare una aventure e riportare la comunità allo status quo preesistente, esattamente come fa lo sciamano eletto. Erich
Kölher ci ricorda infatti: Il destino si serve […] dell’eroe per stabilire l’ordine e la giustizia, che si esprimono nell’armonia della joie, anzi lo sceglie a questo scopo. Perciò il protagonista è un eletto, un ‘esle[6].

Lancillotto viene presentato al lettore «tot seul a pié» (v. 317) in contro canto con Galvano, il quale rappresenta l’eroe terreno, il cavaliere saggio e perfetto che ciò nonostante mai potrebbe salvare la Regina Ginevra dalle mani di Meleagant nel Regno di Gorre. L’aventure è riservata esclusivamente
a colui che, come lo sciamano, è in grado di partecipare della natura dello spirito necessaria per affrontare le ardue prove iniziatiche: Eliade ricorda che gli sciamani riescono a superare la condizione umana e «divengono spiriti […] sono dei morti»[7].

Due sono infatti gli elementi che contraddistinguono il futuro sciamano nella fase in cui viene individuato dalla propria comunità: la mortificazione del corpo e la morte sociale. Già si era detto come l’isolamento, la tendenza alla solitudine e all’allontanarsi dalla comunità siano parte caratteristica della personalità del prescelto; tuttavia questo atteggiamento è rafforzato da una sorta di sprezzo per il proprio corpo e da una propensione a ferirsi e a mettere alla prova la propria capacità di resistenza al dolore, in una forma di separazione dal corpo materiale atta ad acquisire una nuova fisionomia che coniughi il materiale con lo spirituale in un nuovo corpo mistico.

Lancillotto si ferisce in più occasioni e sempre con lame taglienti, dalla scalfittura dell’episodio della folgore «Et li fers de la lance passe / Au che- valier lez le costé / Si qu’il li a del cuir osté / Un po, mes n’est pas bleciez» (vv. 525-27) (‘E il ferro della lancia passa / accanto al costato del cavaliere /
scorticandolo un po’/ ma non è ferito’) al taglio netto delle falangi quando si trova costretto a divellere le sbarre della finestra che gli permetterà di raggiungere la regina Ginevra: «Mes estoit tranchanz li fers / que del doi mame jusqu’as ners / La premiere once s’an creva, / Et de l’autre doi se trancha / le premerainne jointe tote» (vv. 4639-43) (‘Ma i ferri erano così taglienti / che del mignolo si tagliò / ino ai nervi la prima falange, / e del dito vicino si amputò / ino alla prima giuntura’).

Emblematico a questo riguardo è, ovviamente, il Passaggio del Ponte della Spada. Due sono i luoghi che permettono l’accesso al Regno di Gorre: il Ponte sotto l’Acqua in cui naufraga Galvano, l’eroe cortese senza macchia, ma terreno, e il Ponte dalla lama tagliente. Lancillotto sceglie il secondo, il
più difficile, sprezzante del dolore e delle ferite che il passaggio comporterà.

Il Ponte è costituito da una lama affilata e «roide» (‘rigida’), tanto lucente da biancheggiare sulle acque nere e turbinose del fiume del diavolo che scorre sotto. Lancillotto compie una «molt estrange mervoille» (v. 3096) (‘molto strana meraviglia’) realizzando la conclusiva svestizione dai panni di cavaliere: si denuda mani e piedi togliendo le parti di armatura caratteristiche della sua posizione sociale e attraversa il ponte in soli ventidue versi, incurante del dolore che viene lenito dall’amore per la regina.

«De ce gueres ne s’esmaioit S’es mains et ses piez se plaioit, Mialz se voloit si mahaignier» (vv. 3105-07) (‘Non si preoccupava affatto / di ferirsi le mani e i piedi / preferiva mutilarsi’). Lo sciamano che sottostà a un’esperienza di mutilazione del corpo raggiunge gli spiriti per apprendere la tradizione e per vedere mutato il proprio corpo. Prima che vengano loro svelati i segreti più profondi della conoscenza, gli spiriti compiono dunque una trasformazione del proprio corpo attraverso
un processo di smembramento. Lo sciamano samoiedo[8] ad esempio racconta  di aver seguito lo spirito della propria malattia, il vaiolo, ino a un grande deserto, di avere poi intravisto un’apertura in una montagna, un varco stretto che lo avrebbe condotto al cospetto di un fabbro[9]. Costui aveva il compito
di forgiare i migliori sciamani. Il fabbro, racconta, gli aveva tagliato la testa e poi aveva fatto il suo corpo a pezzetti. La testa veniva quindi forgiata sull’incudine e poi gettata in una marmitta colma di acqua fredda, mentre il corpo era messo a cuocere in un grande calderone. Le ossa venivano poi ripescate e coperte con nuova carne e allo sciamano così creato era donato un nuovo corpo e il segreto dell’acqua per la guarigione dei malati.

Questo periodo di iniziazione violento e cruento, in cui le situazioni di taglio, ferite, smembramento, bruciatura e battitura sono i tratti essenziali del mutamento del candidato a divenire sciamano, rappresenta essenzialmente il passaggio morte-rinascita a cui il neofita deve sottostare. Lancillotto avvia il proprio percorso iniziatico già dalla prima comparsa nel racconto: egli è il cavaliere appiedato, colui che ha ucciso la parte che lo rappresenta all’interno della società cortese, ovvero il proprio cavallo[10]. Si assiste quindi alla prima fase della morte dell’identità sociale di Lancillotto attuata per raggiungere una completezza che va oltre l’umano.

Tuttavia la morte sociale viene definitivamente affrontata quando Lancillotto decide di accettare l’invito del nano conduttore della carretta, ciò al fine di accelerare i tempi per raggiungere Ginevra e Meleagant. È lo stesso Chrétien che ci spiega perché un cavaliere che sale sulla carretta venga considerato morto da parte della società: sulla carretta vengono trasportati solo malfattori, ladri, traditori e assassini, veri outsider della società cortese. Lancillotto compie dunque un atto  profondamente trasgressivo, che però mira a un fine più alto, esattamente come lo sciamano che muore come uomo per la propria collettività, per poi rinascere come guaritore e salvatore del destino degli uomini: «La vocazione al potere necessita di una separazione dal mondo: il neofita abbandona la vita secolare, sia volontariamente, attraverso un rituale, sia spontaneamente, attraverso la malattia, e si volge all’interno, l’ignoto, il mysterium»[11].

Tale abbandono della vita sociale viene ulteriormente ribadito nell’episodio della Tomba, in cui assistiamo a una vera e propria pre-sepoltura rituale e morte simbolica; in questo caso il nostro cavaliere è come l’angaqoq eschimese che vede nelle tenebre e percepisce gli avvenimenti futuri attraverso la pratica del qaumaneq, ovvero il lampo o l’illuminazione. Sulla via che conduce al Regno di Gorre, Lancillotto incontra un monaco che custodisce un magnifico sepolcro, in cui sono riunite le tombe dei più grandi cavalieri, tra le quali un misterioso sarcofago sul quale compare un’iscrizione rivelatrice: «[…] Cil qui levera Cele lame seus par son cors Gitera ce set celes fors Qui sont an la terre an prison Don n’ist ne sers ne gentix hom Qui ne soit de la entor nez,
N’ancor n’en est nus retornez
». (vv. 1900-06) (‘[…] Colui che solleverà / questa lastra da solo/ libererà tutti quelli e quelle / che sono prigionieri nel paese / da cui nessuno esce, né servo né nobile / che non sia nato lì, / nessuno è mai ritornato’).

La profezia incisa sulla lastra di pietra ci permette di comprendere che il sepolcro è destinato all’eroe prescelto per la salvazione della Regina Ginevra e dei prigionieri della terra di Gorre e che quell’eroe non può essere altri che Lancillotto, visto che egli solleverà la pietra senza fatica.

Ulteriore elemento che accomuna Lancillotto agli sciamani è una certa propensione all’estasi, alla perdita di coscienza di sé perché immerso nella beatitudine. Emblematici in questo senso sono gli episodi del Pettine, della Torre e del Guado, in cui vediamo il cavaliere assorto nei pensieri d’amore per la Regina Ginevra al punto da essere completamente dimentico di sé. Nel primo caso la sola vista dei capelli d’oro della regina intrecciati in un pettine abbandonato su una pietra causano una fuga dall’autoconsapevolezza, fuga che diventa persino paradossale nel caso dell’Episodio del Guado, quando Lancillotto viene scalzato dalla sella dal cavaliere guardiano del guado, il quale dopo averlo chiamato ripetutamente e non aver avuto risposta, lo colpisce e lo fa cadere in acqua.
La trance e l’estasi sono situazioni in cui il soggetto vive l’impressione di sregolamento rispetto allo stato di coscienza abituale e instaura un diverso rapporto con il mondo, come se vivesse una temporanea assenza della coscienza o dell’anima, una disgiunzione in due parti del sé, al punto che il corpo dello sciamano si trova in uno stato catalettico, di ipoattività. L’ipoattività di Lancillotto nell’episodio del Guado si caratterizza per un issarsi sul pensiero estatico. Di lui infatti si dice: «Et ses pansers est de tel guise Que lui meïsmes en oblie, Ne set s’il est ou s’il n’est mie, […] De rien nule li sovient» (vv. 714-20) (‘E i suoi pensieri sono di tal fatta / che di sé stesso si dimentica / Non sa più se è o non è / […] Non si ricorda di nulla’).

  1. Il nome quale elemento iniziatico

In quasi tutti i sistemi sociali che prevedono un’iniziazione o un rito di passaggio all’età adulta si assiste all’attribuzione di un nome che rappresenti il candidato nella sua nuova identità. Il legame dell’iniziazione con la morte e la seconda nascita è evidente. A tal proposito Réné Guénon ci ricorda che nella morte iniziatica «la parola morte deve essere presa […] nel suo senso più generale, per cui si può dire che qualsiasi cambiamento di stato sia in pari tempo una morte e una nascita, secondo lo si consideri da un lato oppure dall’altro: morte in rapporto allo stato antecedente, nascita in rapporto allo stato conseguente. L’iniziazione è generalmente descritta come una seconda nascita e lo è di fatto; ma, questa seconda nascita implica necessariamente la morte al mondo profano ed in qualche modo la segue immediatamente, poiché non si tratta in verità che delle due facce di uno stesso cambiamento di stato»[12].

Ne consegue che questo passaggio di stato implichi anche una nuova denominazione che il candidato assumerà. Sempre Guénon: «è precisamente per una conseguenza logica immediata di questa concezione che, in molte organizzazioni, l’iniziato riceve un nome nuovo, diverso dal suo nome
profano; e non si tratta di una semplice formalità, poiché questo nome deve corrispondere ad una modalità
»[13].
Ed inoltre: «Risulta da queste considerazioni che un nome iniziatico non deve essere conosciuto nel mondo profano, poiché rappresenta una modalità dell’essere che non vi si può manifestare, sicché la sua conoscenza cadrebbe in qualche modo nel vuoto, non trovando nulla cui possa realmente applicarsi. Inversamente, il nome profano rappresenta una modalità di cui l’essere deve spogliarsi quando entra nel dominio iniziatico, poiché in tal caso non rappresenta più per lui che una semplice parte che interpreta all’esteriore; un tal nome non può aver dunque alcun valore in questo dominio, in rapporto al quale ciò che esprime è in qualche modo inesistente»[14].
D’altro canto, però, è frequente nei romanzi di Chrétien de Troyes rimandare la comparsa del nome dell’eroe eletto; infatti «il battesimo dell’eroe di Chrétien è volutamente differito»[15] per sottolineare che il prescelto diventa degno di indossare il nome che lo caratterizza solo dopo che ha superato una serie di prove. Questo elemento potrebbe confluire nel complesso fenomeno della caratterizzazione del nome letterario[16], in particolar modo in una delle sue funzioni secondarie, ovvero la mitizzazione. Secondo tale concezione il nome sarebbe intriso di forze misteriose e magiche, alle quali chi ne è possessore non potrà sfuggire. Come ci ricorda Friedhelm Debus citando il filosofo Ernst Cassirer, lingua e mito vivono in uno stretto rapporto; ciò comporta conseguenze anche relativamente al nome proprio, un segno linguistico «strettamente legato attraverso fili invisibili alla natura dell’essere»
che rappresenta «il nostro intimo, la natura dell’uomo ed è addirittura la sua interiorità»[17].

2.1. Nomi alternativi di Lancillotto

La nominazione differita, o meglio sospesa, è caratterizzata dalla scelta dell’autore di non nominare mai il personaggio ogni volta ci si riferisca a lui. Chrétien «usa mezzi linguistici per diminuirne la frequenza, ad esempio usando il pronome personale, il pronome relativo […] che indicano senza nominarlo il personaggio voluto. E usa mezzi stilistici e strategie narrative che diradano, criptano, ritardano, nascondono i nomi propri»[18].

Il nostro cavaliere appiedato è decisamente interessante. Già dal titolo sappiamo che la sua identità passa attraverso la definizione di un’azione che egli ha compiuto al fine di raggiungere la Regina Ginevra più in fretta, ma soprattutto per spogliarsi definitivamente della propria identità di cavaliere terreno, passando attraverso l’umiliazione sociale: egli è il Chevalier de la charrete,
come ci ricorda lo stesso Chrétien al verso 24. Quest’assenza di nome proprio continua per la maggior parte del racconto e accompagna il nostro eroe nelle fasi dell’arduo viaggio verso il regno di Gorre. Per 3660 versi non sappiamo che il protagonista delle tante peripezie a cui assistiamo sia Lancillotto; sappiamo invece che il suo compagno di viaggio, l’unico che lo affianca per una parte del percorso, si chiama Galvano. Il nome di quest’ultimo compare infatti a chiare lettere, mentre il nostro eroe viene genericamente chiamato li chevaliers[19] con l’ovvia variante della declinazione del caso, per ben 112 volte (31 volte declinato, 3 volte preceduto da aggettivi dimostrativi come Cis, 5 volte al vocativo, altre 7 volte accompagnato da definizioni che lo caratterizzano). Le 7 volte in cui il generico li chevaliers è affiancato da ciò che definisce la sua personalità ci raccontano un po’ del nostro personaggio: egli è li chevaliers a pié per 2 volte (v. 317, v. 345), espressione di cui abbiamo già sottolineato la forza ossimorica; egli è pansis (v. 541), definizione in cui si evidenzia la tendenza all’estasi d’amore che lo coglie in più di un episodio della sua frenetica corsa all’inseguimento della regina[20]; inoltre egli è li chevaliers de la charrete per 3 volte (v.867, v. 2717, v. 2788), l’outsider della società, additato come elemento che inquina la serenità della corte presso la quale è accolto insieme a Galvano, che gli fa da tramite per essere ospitato.

L’indeterminatezza dell’identità di questo strano cavaliere a piedi risulta anche dal vacuo nesso «Cil qui …», che compare 28 volte con le varianti Celui qui, Cestui qui, Celui an cui, nonché dal semplice Cil per 31 volte, oppure dai generici Amis che compaiono 4 volte, Sire ben 19 volte, Fils 2 volte e Vasax 1 volta. Interessantissimo è quando Lancillotto diventa addirittura il carrettiere – li charretons al verso 884 –, denominazione che mostra il crollo sociale subito dal cavaliere il quale in soli 900 versi ha perso la propria identità sociale e si è trasformato in un reietto, salvato solo dalla vicinanza del nobile e cortese Galvano.

2.2. L’episodio della tomba

L’episodio della Tomba è, come abbiamo accennato precedentemente, l’apoteosi della morte del cavaliere senza nome di fronte alla società. In questo passaggio, dopo la spogliazione di tutti gli elementi che caratterizzano la sua posizione sociale di cavaliere, Lancillotto si trova di fronte alla rivelazione del proprio destino di prescelto. Anche in questo episodio il suo nome non compare e vi è una certa insistenza sul fatto che al monaco venga negata la possibilità, dallo stesso cavaliere, di conoscere la sua identità. Nel testo infatti leggiamo: « […] Sire, or ai grant envie Que je seüsse vostre non. Direiez le me vos? – » (vv.1920-22) ([…] Sire ho grande desiderio / di sapere il vostro nome. / Me lo direte?).

Di fronte allo sbalordimento del monaco e alla richiesta cortese di cono scere l’identità di colui che ha operato un tale prodigio, Lancillotto risponde: «– Je non, / Fet li chevaliers, par ma fois» (vv. 1922-23) (‘Io, no, / sulla mia parola! dice il cavaliere’). Al che il monaco insiste: egli è colui che custodisce quel magnifico sepolcro e che ha diritto di conoscere l’identità di colui cui questo è destinato. Sa inoltre di trovarsi di fronte all’eroe che salverà la Regina Ginevra e tutti i prigionieri del Regno di Gorre, la terra da cui nessuno ritorna, e desidera quindi porre delle domande: «– Certes, fet il, ce poise moi, Mes se vos le me diseiez, Grant corteisie ferie, Si porreiez avoir grant preu
Dom estes vo set de quel leu?
» (vv. 1924-28) (‘Certo, disse, mi pesa molto, / ma se voi me lo diceste / sarebbe un gesto di cortesia / e voi ne avreste grande vantaggio. / Chi siete e da quale paese venite?’).
Ma Lancillotto è ben consapevole di non aver la possibilità di autonominarsi; tale ritrosia, che si individua già nel primo «Je non» del verso 1922, viene ribadita nell’affermazione che segue, in cui l’eroe rivela solo la propria provenienza e l’ormai antica appartenenza sociale alla cavalleria: «– Uns chevaliers sui, ce veez, Del reäume de Logres nez. […] Et vos, s’il vos plest, me redites An cele tonbe qui girra» (vv. 1929-33) (‘Sono un cavaliere, come vedete / e sono nato nel Regno di Logres. / […] / E voi, per favore, dite di nuovo / che riposerà in quella tomba?’).

Egli è uno dei cavalieri del regno di Logres dove governa Re Artù, apparentemente meno importante degli altri cavalieri che hanno una tomba su cui è inciso il loro nome. L’eroe sa di dover rinascere e acquisire un’identità spirituale: solo allora il suo nome verrà pronunciato da chi lo completerà, ovvero la Regina Ginevra, la sua dama-spirito a cui egli si deve congiungere nell’altra dimensione rappresentata dal Regno di Gorre. Il monaco tuttavia persevera nel tentativo di scoprire chi sia il cavaliere al suo cospetto; chiede quindi alla damigella che lo accompagna di svelargli l’identità dell’eroe, ma la fanciulla non può soddisfare la curiosità del monaco, poiché anche lei ignora il nome del cavaliere che ella stessa definisce un essere senza eguali: «il n’a tel chevalier vivant» (v. 1953).

2.3. L’episodio del duello nel Regno di Gorre e l’attribuzione del nome

Dopo aver superato il famigerato Ponte della Spada, Lancillotto si trova finalmente nel cuore del Regno di Gorre, tant’è vero che il Re Bademagu, che assiste al doloroso passaggio dal proprio castello, si stupisce per la destrezza, la capacità di equilibrio oltre che il coraggio che il misterioso cavaliere senza nome dimostra[21].

Il giorno successivo ci si attende che i due contendenti, Melegant e Lancillotto ancora innominato, si affrontino in un duello, che avrà luogo nonostante i tentativi del Re di evitare lo scontro tra il proprio figlio e il cavaliere che giunge dal Regno di Logres, definito «estrange» (v. 3514). Lancillotto
senza nome si aggiunge alla schiera di cavalieri innominati che, come ricorda Huizinga, affrontano il duello per la salvazione dell’amata: «La figura del nobile salvatore che deve patire per l’amata è primariamente una rappresentazione del maschio, che vuole vedere se stesso sotto quell’aspetto. L’entrar in iscena incognito per essere riconosciuto solo dopo compiuta l’azione liberatrice,
accresce la tensione del suo sogno; ma in questo rimaner
incognito dell’essere affiora
certamente anche un motivo romantico che proviene dalla concezione femminile
dell’amore
»[22].
I due cavalieri sono abili allo stesso modo nel mestiere delle armi, si specchiano uno nell’altro per bravura e destrezza, solo Lancillotto si trova un po’ indebolito dalle recenti ferite subite nel passaggio tagliente del Ponte-sciabola. Le piaghe sulle mani dolgono, ma il pubblico accorso dai quattro cantoni
del paese per assistere al duello e per sostenere Lancillotto lo incoraggia e lo spinge a combattere per la sua e loro salvezza. Una damigella del pubblico, prigioniera anch’essa, pensa che, se sapesse il nome del cavaliere innominato, potrebbe aiutarlo maggiormente nella sua impresa, convinta che «il nome [sia] qualcosa di profondo, [che possiede] molti significati. Esso ci infiamma quando dobbiamo compiere audaci imprese e ci dà la forza di gettarci nella mischia»[23]. Così la damigella si avvicina alla Regina e domanda: «Dame, por Deu et por le vostre Preu, vos requier, et por le nostre, Que le non a ce chevalier Por ce que il li doie eidier Mes dites, se vos le savez.» (vv. 3651-55) (‘Dama, in nome di Dio e per vostro beneficio / e per il nostro, vi chiedo / di dirmi, se lo sapete, / il nome di quel cavaliere / al fine di poterlo aiutare’).

Ginevra, finalmente, dopo 3660 versi dall’inizio del poema, pronuncia il nome del prode cavaliere: «– Tel chose requise m’avez Daneseile, fet la reïne, Ou ge n’antant nule haïne Ne felenie se bien non.
Lanceloz del Lac a a non Li chevaliers, mien esciant
.» (vv. 3656-61) (‘Visto che me lo domandate, / damigella, dice la regina, / e non vedo nulla di sbagliato / di cattivo, anzi al contrario, / per quel che so, il cavaliere si chiama / Lancillotto del Lago’).

Il parallelo che corre immediato alla mente è con un altro personaggio di Chrétien de Troyes: Perceval. Il romanzo a lui dedicato, Le conte du Graal, ruota attorno all’importanza simbolica del nome e del riconoscimento del personaggio. Infatti, per tutta la prima parte del racconto fino al verso 3561, il nome del protagonista è ignoto a tutti, «e quando infine egli si presenta […] è ogni volta per segnalare un passaggio a un livello superiore di nobiltà spirituale oltre che guerriera»[24].

Qualcosa di simile avviene nella Divina Commedia: «Dante, perché Virgilio se ne vada, non pianger anco, non piangere ancora; ché pianger ti convien per altra spada» (Purg. XXX 55-57).

Questa è la voce di Beatrice, nel Paradiso Terrestre, che richiama Dante dallo smarrimento di essere stato privato dell’appoggio e della guida di Virgilio. Il nome del poeta a lei devoto è la prima parola che Beatrice pronuncia entrando in scena: è lei la sola che può nominare il poeta, è la donna-guida che può chiamarlo per nome, che può ‘battezzare’ l’uomo abbandonato, solo, ai confini del Paradiso. «Dante verrà nominato, per la prima e l’ultima volta, nell’incontro con Beatrice, subito dopo la sparizione di Virgilio»[25], così come Ginevra ha fatto assistendo all’impresa di Lancillotto che si batte a duello.

2.4. L’incontro ierogamico

Uno dei modi che gli sciamani hanno di intessere relazioni con gli spiriti che li guidano o li posseggono durante la trance viene esemplificato in questa definizione di J.M. Lewis: il rapporto tra lo spirito e il devoto che lo incarna regolarmente è spesso rappresentato direttamente in termini di matrimonio o di parentela[26].

La scelta del candidato da parte dello spirito non ricalca per forza il sistema binario terreno dei due sessi biologici, pertanto si può assistere a incontri che richiedono un cambiamento di sesso da parte dell’elemento terreno della coppia. Il punto è che il neoita deve sentirsi «sopraffatto dal sesso
opposto»[27], come avviene a Lancillotto, il quale offre tutto il suo corpo e la sua mente a Ginevra. È lo stesso Chrétien che descrive lo stato di estasi d’amore a cui l’eroe si abbandona, concentrato sul pensiero d’amore per la Regina Ginevra: «Et cil de la charrete panse Con cil qui force ne desfanse
N’a vers Amors qui le justice, Et ses pansers est de tel guise Que lui meïsmes en oblie, Ne set s’il est ou s’il est mie, Ne ne li manbre de son non, Ne set s’il est armez ou non, Ne set ou va, ne set don vient, De rien nule ne li sovient Fors d’une seule, et por celi A mis les autres en obli, A cele seule panse tant Qu’il n’ot ne voit ne rien n’antant
.» (vv. 711-24) (‘E quello della carretta è talmente preso dai suoi pensieri / come colui che è senza forza né difesa / verso Amore che lo governa. / E i suoi pensieri sono di tal fatta / che di sé stesso si dimentica. / Non sa più se è o non è. / Non si ricorda il suo stesso nome. / Non sa se è armato o no, / non sa dove va e non sa da dove viene. / Di nulla si ricorda/ se non di una cosa, di quella che ha messo il resto nell’oblio. / Solo a lei pensa così tanto / che non vede e non sente nulla’).

È la stessa Halifax a suggerire che il personaggio con cui si identifica lo sciamano debba essere cosmico o regale[28], come Ginevra, e che sia impossibile sottrarsi al tale unione quando lo spirito avrà fatto la scelta del proprio amante terreno, il quale dovrà dimostrare abnegazione totale: «Il futuro sciamano giaceva addormentato sul suo giaciglio, quando una minuscola donna in costume gol’d gli comparve, bellissima, la chioma corvina scintillante sulle spalle […] ‘Sarai mio marito ed io sarò tua moglie […] Se non mi ubbidisci, ti ammazzo’»[29].

Interessante nel caso del nostro eroe è che l’unione ierogamica con Ginevra avvenga in un’altra dimensione, una dimensione fuori dall’ordinario: il cavaliere della carretta ormai divenuto sciamano, vero sciamano, dopo il passaggio del Ponte della Spada e consacrato dal nome pronunciato dal suo
spirito-guida, verrà accolto da quest’ultima nel castello del Regno di Gorre, il regno dei morti, poiché da questo luogo «nus estranges ne retorne» (v. 641): anche lo sciamano buriate[30] al termine della propria iniziazione incontra in Cielo la sua futura sposa celeste, giace con lei per la prima volta e verrà consacrato sciamano contestualmente alla cerimonia in cui sposerà lo spirito. Lo stesso Dante contempla Beatrice ino a che non diventa lei: «si fa dentro quale Lei è»[31]. E aggiunge, nella Vita Nova, come ci ricorda Zolla: «che d’ora in poi l’anima è governata da Amore-Beatrice (Stella mattutina-Venere), cui è sposata con ferma signoria per virtù d’immaginazione»[32].

  1. Conclusioni

Dalla sistematizzazione compiuta da Halifax, in cui si sottolineano i tratti fondanti la riorganizzazione del sé che il neofita subisce per trasformarsi in uno sciamano, individuiamo il percorso dell’eroe arturiano: «1) Le geografie psichica, cosmica e personale si focalizzano su di un centro», il punto
di focalizzazione di Lancillotto è la salvazione di Ginevra. «2) La morte sopravviene durante il processo di smembramento e sacrificio» – si ricordi la tendenza di Lancillotto al taglio e alla ferita che culmina nel passaggio del ponte-sciabola. «3) Ritorno a un tempo precedente, Paradiso o grembo
[…]», desiderio di Lancillotto di ricondurre l’amata presso la corte di Logres. «4) Conflitto cosmico tra le forze del Bene e del Male», duello con Meleagant sotto il castello di Re Bademagu. «5) Insorge la sensazione di essere sopraffatto dal sesso opposto; la minaccia dell’opposto può anche manifestarsi
in un’identificazione positiva con il proprio opposto»; l’estasi d’amore per Ginevra rende il nostro eroe completamente schiavo della sua dama-spirito che lo comanda anche da lontano[33]. «6) La trasformazione dell’individuo si manifesta con un’apoteosi mistica in cui colui che sperimenta s’identifica con un personaggio cosmico o regale. In un matrimonio sacro si uniscono le coppie di opposti»: l’episodio dell’incontro notturno con la Regina Ginevra e il coronamento del sogno d’amore di Lancillotto[34].

Il matrimonio con la sposa celeste al punto 6 rappresenta il momento di massima espressione del passaggio da un’identità all’altra per il candidato; ed è nella fase immediatamente precedente la sospirata unione che il nome viene assegnato, quale rappresentazione del passaggio avvenuto, della nuova nascita e della nuova vita.

Il nome, come ben sappiamo, ha una valenza potente, tanto è vero che nella cultura mixteca[35] esisteva la pratica dell’assegnazione di un nome ‘provvisorio’ che veniva dato ai bambini in base al giorno e mese in cui erano nati, fino a quando, verso i sette anni, si individuava il nome vero, ovvero quello
che avrebbe dovuto accompagnare il bambino per il resto della vita. Tale nome veniva individuato con l’aiuto della divinità che si impegnava nel compito e in base a una serie di calcoli complessi: il cambio del nome designava il passaggio dalla fanciullezza all’adolescenza.

Interessante vedere che in tutti i casi interviene una divinità, uno spirito, una sposa celeste a completare il passaggio di metamorfosi. Leo Sternberg, nel suo L’elezione divina nello sciamanesimo[36], operò una serie di confronti e paralleli al punto da ricordare come lo schema iniziatico fosse sempre simile: anche nei riti ewe[37] il candidato è separato dalla vita ordinaria con un’unzione impartita fra canti e ululati, seguita da una danza frenetica. Per sette giorni il candidato vivrà in isolamento e riceverà un nuovo nome, gli sarà ‘aperta la bocca’; a questo punto sarà elevato a dignità sacerdotale e potrà cantare gli inni per attirare le divinità nel suo corpo. Tale schema si ripete
presso altre tradizioni; anche in Africa occidentale, dove i candidati vengono considerati morti dalla loro comunità di appartenenza, visti come prigionieri nelle mani del dio che si è appropriato di loro. Poi ricevono un nuovo nome, sono unti di olii come per una notte di nozze. Abbandonano le loro abitudini, mangiano con la sinistra, la mano del dio, parlano una diversa lingua[38].

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Anna Airò è dottoressa di ricerca di Filologia romanza e cultura medioevale; si interessa di letteratura cortese francese, in particolare dell’analisi e interpretazione antropologica e di genere. Ha pubblicato lavori sulle riviste “L’Immagine Riflessa”, “Quaderni di filologia Romanza”, “Schede Umanistiche”.

 

NOTE

[1] M. ELIADE, Lo Sciamanismo e le tecniche dell’estasi, Roma, Mediterranee 1992, p. 514.

[2] CHRÉTIEN DE TROYES, Chevalier de la charrete, ed. critica a c. di Ch. Méla, Paris, Librairie Générale Française 1992 («Lettres Gothiques»).

[3] Per un’analisi dettagliata si veda: A. AIRÒ, Tracce sciamaniche nel Chevalier de la Charrete di Chrétien de Troyes, «L’Immagine riflessa», N.S. VII (1998), pp. 169-211.

[4] Si veda ELIADE, Lo Sciamanismo…, cit., cap. X, Ideologie e tecniche sciamaniche fra gli indoeuropei, pp. 401 sgg.

[5] F. ZAMBON, Tantris o il narratore-sciamano, «Medioevo Romanzo», XII (1987), pp. 307-328.

[6] E. KÖHLER, L’avventura cavalleresca. Ideale e realtà nei poemi della Tavola Rotonda, Bologna, il Mulino 1985, p. 136.

[7] ELIADE, Lo Sciamanismo…, cit., p. 108.

[8] I Samoiedi sono una popolazione stanziata all’estremo nord della Russia, tra le isole Kanin e Tajmyr.

[9] La figura del fabbro è spesso connessa a quella dello sciamano.

[10] A tal proposito si legga il cap. 19, La nascita della cavalleria e l’invenzione delle crociate, secoli XI-XII, in M. MONTANARI, Storia Medievale, Bari-Roma, Laterza 2002, pp. 164-176.

[11] J. HALIFAX, Lo sciamano, maestro dell’estasi, Como, RED Edizioni 1990, p. 12.

[12] http://www.gianfrancobertagni.it/materiali/reneguenon/iniziazione.pdf, p. 144.

[13] Ibid.

[14] Ivi, p. 147.

[15] L. SASSO, Il nome nella letteratura, Genova, Marietti 1990, p. 111.

[16] Si veda F. DEBUS, Funzioni dei nomi letterari, «Il Nome nel testo», II-III (2000-2001), pp. 239-251.

[17] Ivi, p. 248.

[18] S. GAMBERINI, La nominazione sospesa, in Onomastica e letteratura. Atti del III Incontro di studio, a. c. di M.G. Arcamone, B. Porcelli, D. De Camilli, D. Bremer, Viareggio, Baroni 1998, pp. 75-80. Si veda anche in E. QUADRELLI, Wolfram von Eschenbach e Chrétien de Troyes: un confronto sui nomi, «Il Nome nel testo», I (1999), pp. 25-39: 27 n. 10.

[19] Cfr. SASSO, Il nome…, cit., p. 111: «L’assenza del nome può lasciare adito ad una designazione sociale del personaggio che verrà in tal caso indicato […] con un appellativo che ne connota il ruolo assunto nella società del tempo».

[20] Il tema dell’estasi viene ripreso anche nella fase successiva all’assegnazione del nome, al verso 3660: è un tratto dello sciamano che agisce in uno stato modificato della coscienza quando si trovi al cospetto degli spiriti.

[21] L’eroe-sciamano deve fare molto affidamento sulla sua capacità di sopportare il dolore, nonché su un ottimo equilibrio: «The mara’ak’ame (sciamano del centro-Messico) must have a super equilibrium […] Otherwise he will not reach his destination […] One crosses over, it is narrow and without balance, one is eaten by those animals waiting below»: J. HALIFAX, Shamanic Voice. A Survey of Visionary Narratives, USA, Penguin Arkana Books 1979, p. 19.

[22] J. HUIZINGA, L’Autunno del Medioevo, Firenze, Sansoni 1985, p. 102.

[23] E. BOAS, Namensymbolik in der deutschen Poesie, (Literaturstoffe, 1. Heft) Landdberg a.d.W. 1840, in DEBUS, Funzioni dei nomi letterari, cit., p. 249.

[24] F. FERRUCCI, Il battesimo dell’eroe, in Letteratura italiana, V, Le Questioni, Torino, Einaudi 1986, p. 900, in L. SURDICH, La nominazione ritardata e l’assenza del nome: un esempio dantesco, «Il Nome nel testo», VII (2005), pp. 133-151: 139 n. 7.

[25] Ibid. Per l’autonominazione e la teoria sull’uso del nome proprio da parte di Dante si vedano le pagine 139-140 del saggio di SURDICH.

[26] M.J. LEWIS, Le religioni estatiche. Studio antropologico sulla possessione spiritica e sullo sciamanismo, Napoli, Liguori Editore 1972, p. 48.

[27] HALIFAX, Lo Sciamano…, cit., p. 13.

[28] Ibid.

[29] In E. ZOLLA, L’amante invisibile, l’erotica sciamanica nelle religioni, nella letteratura e nella legittimazione politica, Venezia, Marsilio Editori 1986, p. 11.

[30] Popolazione della Siberia di origine mongola.

[31] ZOLLA, L’amante…, cit., p. 109.

[32] Ivi, p. 110.

[33] Emblematico il disprezzo che Ginevra mostra per il povero Lancilotto, al termine del duello con Meleagant, quando viene ricevuto dalla regina che lo accoglie sdegnata. La causa di tale sdegno, leggiamo, sarebbe stata la sua brevissima ed infinitesimale titubanza prima di salire sulla carretta infamante, cosa che l’avrebbe definito come un escluso sociale.

[34]  HALIFAX, Lo Sciamano…, cit., p. 13. Qui prosegue l’elenco dell’autrice: 8) Una nuova nascita entra a far parte delle fantasie e delle esperienze di rinascita. 9) Si anticipa una nuova era o l’inizio di una società nuova. 10) L’equilibrio di tutti gli elementi si realizza in un mondo quadrato, ossia una quadruplice struttura fatta di equilibrio e di profondità. Il punto 9 è quello che distanzia Lancillotto dallo sciamano, in quanto per la forma mentale essenziale è il ritorno allo status quo, a un ripristino di un tempo che viene letto come Età dell’Oro, in cui tutto era perfetto. Lo scopo finale di Lancillotto è riportare la Regina Ginevra nel Regno di Logres da Re Artù, e con lei, tutti i prigionieri del Regno di Gorre, la terra da cui nessuno ritorna.

[35] La cultura mixteca fu una delle più antiche del Mesoamerica nella zona di Oaxaca.

[36] Congrés Internationale des américanistes. Compte-rendu de la XXXIe session. 2eme partie, in ZOLLA, L’amante…, cit., p. 11.

[37] Popolazioni del Togo e del Ghana.

[38] ZOLLA, L’amante…, cit. p. 20.