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La Donna e la Spada, di Valentina Ferranti

ldegarda di Bingen riceve una visione e la descrive al suo segretario. Dal manoscritto Scivias.

 

Preambolo (a cura della Redazione)

La Via cavalleresca, per le proprie peculiarità, si configura come Cammino spirituale di natura prettamente maschile. In esso si integrano, in maniera originale, l’aspetto contemplativo e quello dell’azione, la componente mistico-sapienziale e quella guerriera.  Il Combattimento del Cavaliere si concretizza dunque in una specifica dimensione: quel confine che separa e al contempo unisce il Cielo e la Terra. Qui il Miles Christi si riconosce come umile servo, in qualità di difensore, dell’Ordine divino, attuato nel Mondo attraverso l’inscindibile nesso che unisce Misericordia e Giustizia.

Lungo questa Via marziale, il Cavaliere si trova, fin dall’inizio, a dover riconoscere una “Presenza” che, sotto diversi aspetti, risulta come elemento costitutivo nella conformazione della Via stessa: quella della Donna.

La tradizione cavalleresca (prendendo come riferimento utile i componimenti poetici e i cicli narrativi che ne riflettono l’essenza attraverso l’uso di un linguaggio mitopoietico) pone in grande rilievo la figura della “Dama” stabilendone, primariamente, una corrispondenza simbolica con la Sapienza divina. Ad essa si relaziona l’immagine della Vergine Maria, quale Sedes Sapientiae e quindi Janua Coeli, nonché con tutte le qualifiche che ne illustrano l’attributo di Regina e la suprema funzione nel combattimento escatologico tra il Bene e il Male.

Maria Santissima però riveste un’ulteriore, essenziale valenza, che si accentua nell’ottica del rapporto tra Cavaliere e Donna, quindi con il “femminile”: ossia quella che la vede sposa e madre, creatura del tutto umana che esperisce fino in fondo la propria condizione, testimoniando, in tali ruoli, l’Obbedienza assoluta al Mistero dell’azione divina nel Mondo.

Il Cavaliere dunque, nella propria “cerca” spirituale si muove entro questo duplice aspetto che ne denota il rapporto con la Donna: la dimensione archetipale e quella più immediatamente creaturale, in cui il femminile assume forme differenti, comprese le sue valenze negative, quando manifesta il proprio lato oscuro, lunare.

Il contributo di Valentina Ferranti che qui ospitiamo, La Donna e la Spada, offre valida materia di riflessione e di ispirazione relativamente al contesto che abbiamo delineato, anche ricordando quelle figure femminili di alto fervore religioso che, ciascuna a proprio modo, non hanno esitato ad impugnare la Spada della Fede e senza alcun compromesso.

(Valentina Ferranti ha conseguito la laurea in Lettere e Filosofia ad indirizzo antropologico presso l’Università La Sapienza di Roma. Attualmente collabora a varie riviste, occupandosi di tematiche antropologiche e di cultura religiosa contemporanea).

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La Donna e la Spada

Se arduo è il compito del Cavaliere, ancor più lo è quello della Dama. La Via cavalleresca è preclusa al femminile ma solo in facto. La donna è chiamata al faticoso e urgente compito di guida, rivestendo così un ruolo talmente alto da non poter essere quasi mai realizzabile. Poiché è l’uomo che impugna con mano ferma la spada, simbolo assiale, ma è la donna che gli indica la porta del Cielo.

Per questo la Santa Vergine Maria, la Theotokos è la Regina Coeli. Il Cavaliere non può intraprendere il compito assegnatogli senza la sua guida, senza le sue indicazioni. A suggello di tale levatura, il Cavaliere Le è devoto. Così in cielo e così in terra; l’uomo che impugna la spada ardente della rettitudine spirituale, si affiderà alla Madre Celeste. Questo l’afflato cui tenderà chi indossa gli onorevoli paramenti, e rivestirà il suo cuore d’ardore divino.  Arduo compito in questo mondo caduto in cui il sentire individuale sovrasta quello collettivo e l’edonismo contrasta come coltre nera sulla fede e il sacro affidamento all’Ordine divino, alla Divina Volontà. Eppure, uno sparuto gruppo di uomini tenta ancora l’impresa, celati all’ombra di un manto celeste che non rabbuia ma protegge illuminando. È il manto della Vergine, Donna e Madre, carne e Logos Celeste.

In questi tempi oscuri e ultimi per chi vuol vedere, il percorso è ancor più periglioso.  I draghi sono ancor più potenti e feroci di quelli narrati nelle storie di un tempo. Ancor più nascosti e insidiosi. Mistificazione e inganno regnano e avviluppano i cuori degli uomini e delle donne. Eppure la via è aperta e le indicazioni sono state date.

Bernardo da Chiaravalle le mostrò con la dolcezza della preghiera e la forza della sua rettitudine morale. Un faro che ne principiò, coronandola nel De Laude Novae Militiae, l’impresa. Impresa che è tuttora percorribile, nonostante ostacoli interiori ed esterni. L’estenuante lotta del cuore, lotta che si snoda ad ogni palpito dell’esistenza del Cavaliere e la lotta per compiere il giusto agire, nel mondo. Poiché del mondo l’uomo che non riveste gli abiti della rinuncia, fa parte. Nella tradizione vedica vi è un termine-concetto che ne racchiude il senso: RTA. Il sanscrito è lingua madre e fonte primigenia he dal greco al latino ci riporta all’origine della parola, al suo senso ancestrale. Dal RTA vedico deriva l’aritmos greco ed il ritus latino.  Ordine, spazio-hortus conclusus, numero, cerchio e ovviamente spazio rituale del fare sacro. In origine: giusto ordine divino connesso all’ordine sociale, naturale e rituale non mai separabile dall’ordine universale-divino. Guardiano di tale ordine è Varuna che nel Rig-Veda, insieme a Mitra, ha il dovere di vigilare, di esserne il conoscitore. Così in cielo così in terra, questa divinità avvolta nel mistero, ha facoltà di giudice sulle azioni sia celesti che umane. L’uomo che non rispetta tale ordine sacro, ne verrà avvolto nei lacci, nei lacci di Varuna, preso da essi. L’uomo che non intraprende la strada del giusto agire, sarà imbrigliato e così bloccato, poiché la via spirituale-il percorso assegnatogli dall’Alto- non è stato perseguito. Ed è nel giusto agire che, in terra, il Cavaliere ne dovrà essere viva testimonianza, ancor più degli uomini che non hanno tale investitura. Più arduo il compito, più grande la gloria. Una gloria svuotata di onori terreni, da rifuggire poiché mere seduzioni. Gloria di aver riportato sul giusto assetto tutto ciò che devia dalla luce divina. Ancora una volta l’etimo ce ne mostra l’essenza. La gloria, che il Cavaliere nel buon combattimento interiore, esteso al mondo esteriore acquisisce, non è né celebrità per l’impresa, né falso ego inferiore nel vantarsi di aver sconfitto i propri difetti, ma splendore della forza mistica che lo conduce in alto, nell’eterno rapporto con Dio e con la Vergine Santissima. Gloria deriva probabilmente dal proto-avestico HVAR simile al sanscrito SVAR, nel significato di “splendore”, “splendere”. Ed è questo che inonda l’armatura simbolica del cavaliere lontano dai clamori, poiché ad oggi la guerra tra Luce e Tenebre è più invisibile che mai ed il compito si assolve principalmente nella rettitudine del silenzio e non nella vanagloria. Questo non può far dimenticare che il Cavaliere è nel mondo ed il mondo gli chiede un tributo d’azione. Cosa viene chiesto invece alla dama, alla donna? La secolarizzazione coatta, ha macchiato l’anima degli uomini, e ancor più quella delle donne. Cosa e come può agire una donna che non indosserà l’abito cavalleresco, ma deciderà di intraprendere la via del giusto combattimento? La domanda inciampa su una premessa che riguarda l’essenza del femminile, poiché la donna è dismisura: grandezza celeste o cenere terrena. Riverbero della Santissima Madre o pece dell’oppositrice Lilith, la prima moglie di Adamo, che scelse i demoni e la lussuria e fece peccato di hybris, ribellandosi al volere divino. I figli nati dalle sue nefaste unioni con i demoni del deserto, non furono mai amati ed il demone vampiro si dedicò al disturbo e all’uccisione dei giovani nati. Il femminile ne porta ancora il marchio, segno di un’ambiguità ancestrale per cui la donna è sia madre che matrigna. Vita e anche morte. In quasi tutte le culture umane, i due momenti cardine della vita dell’uomo: nascita e morte, sono cose da donne. Sono loro che si occupavano del passaggio. La donna è la chiave che apre al trascendente, è la traghettatrice! Compito che se non assunto con Amore, le rende terribili creature. Ed è quindi ancor più difficile, dato lo straordinario compito assegnatole, seguire il giusto cammino.

La donna è una conca, un cerchio-vaso che contiene. Oscilla poiché tonda. È luna, mondo astrale, capriccio di maree, imprevedibilità e sbilanciamento, pendolo oscillante d’emotività uterina. Ma se abbraccia la Grazia e trova la centratura, il suo corpo conterrà tutte le creature con immenso amore. Tuttavia, il suo cuore deve essere puro e forte come diamante. Questo l’arduo compito del femminino sacro. Nonostante il Cavaliere sia oltremodo travagliato, la dama lo è per natura fisica ed emotiva. Ed allora, come può impugnare l’invisibile spada?

Il nostro sguardo non può che volgersi al passato, tra le pieghe del fare nell’azione e quelle dell’amorevole attesa.

Quando il cuore è puro, sono queste le due vie del femminile.

Con gli occhi rivolti all’immensa finestra del cielo, la Dama attende colui che spesse volte per onore, non potrà coronare un amore pregno di devozione e tenerezza. La pazienza e la preghiera però le sono compagne. Così per il Cavaliere, che sublimerà e porterà in alto quell’amore, rendendolo inviolabile oltre le grettezze del mondo terreno e carnale.  Così come si tende la freccia e si dirige la spada verso il cielo, il desiderio umano sarà suggellato nello spazio sacro dell’amore puro e del rispetto per una creatura intoccabile. Quello che Beatrice fu per Dante. I cantori sono quasi tutti uomini, ma possiamo immaginare le struggenti attese delle dame durante le guerre. E ve n’è una ancor più in là nel tempo: la donna di un eroe talmente umano da essere parte dell’animo di ogni uomo, in quanto archetipo assoluto. Sua sposa fedele e paziente fu Penelope, Dama devota e pregna d’amore, colei che usò la spada dei fili della pazienza e dell’amore eterno per il suo sposo Ulisse.

È lei che lo renderà Re! La dama è divina paredra ed il cavaliere-eroe che ne onora la grazia, sarà incoronato. Cavaliere la cui spada è ‘misura’; asse portante della sua centratura di cuore. Rettitudine che lo spinge sul giusto cammino. La spada del vero cavaliere è diamante, come il suo cuore. Indistruttibile di fattura poiché in costante affido alla Divina Volontà e puro. La sua esperienza, il suo dominio sul mondo interiore disordinato e confuso, gli hanno permesso di trasformare la materia carbone in luce. Spada d’ardore fiammeggiante che impugna per combattere, in primis, la “grande Guerra santa”, quella interiore! Aggiustamento che non avrà mai fine, in vita. La dama gli indicherà la strada. Sarà canale puro d’esempio eccelso, poiché solo nell’esempio della Santissima Vergine Maria, «la rosa in che ‘l verbo divino/ carne si fece», così come la stessa Beatrice l’annuncia nel XXIII canto della Commedia, Divina, è cerchio perfetto che contiene d’amore tutto il creato.  È quindi questa una delle due vie femminili della cavalleria. Essere sposa e madre, essere la paziente donna che attende. Contenere e accudire l’uomo ed il figlio. L’esempio mirabile è quello della Maria storica, l’anelito quello della sua ascensione al cielo poiché Lei nel suo percorso terreno fu “più che creatura”.  La vedremo nelle ispirate raffigurazioni artistiche, quando l’arte era sacra e non volgarizzata e ripugnantemente vuota, schiacciare col calcagno la serpe antica e porre sotto sua tutela l’incostante sfera lunare, la quale rappresenta i mille nomi che le sono stati dati nel mondo divino intermedio, in cui vivono le dee. Poiché solo lei è puro Sole Celeste. Le altre sono tentennanti abbagli che l’uomo ha intravisto.

L’altra ardua via del femminile l’ha tracciata con impeccabile potenza una giovane mistica e guerriera. Indossò l’armatura degli uomini. Freddo ferro su un corpo di giovane donne ed alzò la spada al cielo, guidata da Dio. Jeanne d’Arc, italianizzata Giovanna d’Arco. Baluardo della cristianità. Icona della fede e della difesa della fede. Guerriera indefessa. Come lei, ce ne furono altre. Altre donne indossarono abiti maschili per lanciarsi nella battaglia. Di pochissime conosciamo la storia, che spesse volte si mischia alla leggenda e poi si fa mito. Di Giovanna, vergine guerriera, ne sappiamo di più ed in questo breve excursus ne rinnoviamo gli onori dell’impresa, lasciando alla memoria la sua immagine a cavallo, mentre la mano impugna la spada ed i suoi occhi sono rivolti al cielo.  Ecco l’altra via che la dama può percorrere: ardore e forza, qualità che ebbe un’altra donna, poiché l’esempio di Giovanna d’Arco che condusse la battaglia, è simile alle lotte che intraprese la mistica di Bingen. Nonostante l’adesione ai voti conventuali, fu guerriera anch’essa ed impugnò la spada fiammeggiante della fede, con veemenza e sempre rinnovata forza.

Ildegarda Von Bingen nacque a Bermerschein, vicino ad Alzay, in Germania. Correva l’anno 1098. Anno in cui un contingente di crociati guidato da Tancredi di Altavilla, occupava Tarso in Cilicia, mentre in Francia l’abate Roberto di Molesme fondava l’abbazia di Citeaux. Sono gli anni della prima crociata. Lei è l’ultima di dieci figli. A soli otto anni, i suoi genitori la inviarono come oblata presso il monastero di Disibodenberg. La giovane ricevette l’abito monacale all’età di quindici anni.

Fu Ratzinger, fine teologo salito al soglio pontificio come Papa Benedetto XVI, che trentatré anni dopo la richiesta del cardinale Joseph Hoffner – al tempo arcivescovo di Colonia- inoltrata alla Santa Sede l’8 settembre 1979, la proclamò ‘Dottore della Chiesa’ il 10 maggio 2012.

Terza donna nella storia, accanto a Caterina da Siena e Teresa d’Avila. Per chi non ne conoscesse i pregi, vi sono ormai numerose biografie. Quello che in questo excursus interessa è soprattutto il suo rapporto con gli uomini del tempo. Papa Eugenio III la consacrò profetessa. Suo tramite fu proprio Bernardo da Chiaravalle, che la stessa Ildegarda dichiarò essere Vero Padre spirituale e uomo che guardava dritto al sole. In una lettera del 1147 gli scrisse parole che sembrano quanto mai attuali: «Questo stolto mondo, che si oppone alla legge divina, deve veramente avere paura di te, che con il tuo nobile esercizio, nell’amore ardente del Figlio di Dio, raccogli molti uomini sotto il vessillo della santa croce e nella milizia cristiana li prepari a combattere contro la violenza dei tiranni». La sua è una chiamata alle armi spirituali, la stessa che usò contro Il giovane Federico Hohenstaufen detto il Barbarossa che le offrì, nonostante non fosse un uomo di chiesa, la sua protezione. Ciò non impedì ad Ildegarda di prendere posizione contro di lui a favore del legittimo papa Alessandro III, contro il ‘papa imperiale’ Callisto III. La mistica di Bingen scrisse all’Imperatore minacciandolo di punizione divina se non avesse restituito il suo sostegno al legittimo papa Alessandro. Con altri illustri del suo tempo ebbe a ridire, prediligendo la purezza della fede alle logiche imperiali ed ai giochi di potere. Torniamo a dire che fu proprio il suo rapporto epistolare con Bernardo, il quale con i Cavalieri del Tempio ebbe molto a che fare, che la rese baluardo di pura fede e badessa che mai smise di sguainare la sua spada diamante. Lei si confessò a Bernardo, per paura di non essere compresa ed a lui raccontò il contenuto mistico delle sue visioni, non descrivibili come stati estatici ma lucide visioni d’anima, in cui la badessa non perdeva mai il contatto col mondo esteriore. Cose ammirevoli che la posero vicino al mondo divino.

Con forza e rettitudine spinse la sua vita oltre un’età impensabile per l’epoca, poiché molto ebbe da dire, da scrivere, da musicare.  Così la descriveva qualche anno fa Benedetto XVI: «lldegarda parla con grande attualità anche a noi oggi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia e la sua musica».

Il suo esempio è faro; la potente e ardente spada della fede rivolta al cielo, sempre fiammeggiante. L’eco del cuore dei Cavalieri di un tempo e degli uomini di buona volontà che ancora tentano l’impresa, è tuttora udibile, ricordando che il tempo, nella sfera del vissuto eroico e cavalleresco, non ha tempo, poiché tempo sempiterno e Dama, sposa e madre o guerriera, sono sempre al fianco del Cavaliere.

Valentina Ferranti