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L’architettura numerica dell’Annunciazione (di Cosmo Intini).

Icona dell’Annunciazione a Maria, Ohrid (Macedonia), ca. 1320

Già in diverse altre occasioni abbiamo testimoniato quali siano le peculiarità di quell’approccio di conoscenza che si basa sull’ermeneutica gematrica.

Al fine di evitare qui inutili ripetizioni e lunghe divagazioni, ci sembra senz’altro opportuno rinviare a suddette occasioni coloro che non abbiano ancora sufficiente dimestichezza sui principi ed i procedimenti che caratterizzano tale “scienza sacra”[1].

Ciò su cui in questa sede ci sembra invece giusto insistere è come l’impiego di tale modus operandi sia in grado di cogliere e confermare, in maniera “e-vidente”, il manifestarsi di una sacralità nello status ontologico di quei “nomi” (e, contestualmente, di quanto essi denotino e dicano) di cui, dopo averli contestualizzati e coordinati con un sistema già presupposto come sacro, vengano computati, appunto, i valori gematrici che sono a loro propri.

Il “nome” – che qui intendiamo nel senso generale di “parola” –  ad un approccio superficiale parrebbe appartenere esclusivamente alla “pro-fana” e orizzontale dimensione che è propria del logos umano (nominalismo). Tuttavia, è possibile constatare come si manifesti una sua effettiva valenza “sacrale” allorché venga “contestualizzata” la “con-formità” – ossia, si ponga in atto una corrispondenza “formale” – della propria essenza, in verticale, con l’essenza del Logos divino (omo-loghìa).

La caratteristica di tale corrispondenza è quella di presentarsi come un’indipendenza e un’oggettività in re dell’essenza del “nome”, la quale cioè prescinde dall’apprensione e dalla esemplificazione post rem operabile dal logos. Ciò denota in definitiva, come Verità[2], quello che è il carattere ante rem del Logos (realismo tomistico).

 

Un’architettura numerica

La ricorrenza della solennità dell’Annunciazione (25 marzo) ci offre l’opportunità di constatare alcune congruenze che evidenziano la reale sacralità dell’evento, nonché confermano l’efficacia dell’ermeneutica gematrica.

Questo episodio è peraltro di basilare importanza nel contesto delle riflessioni omologhiche, in quanto costituisce propriamente il momento storico in cui il Logos si incarna nel logos.

Riportiamo innanzitutto la pericope evangelica relativa: «Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: “Rallegrati, o piena di grazia, il Signore è con te”» (Lc 1,26-28).

Ebbene, per i motivi simbolici che spiegheremo immediatamente di seguito, intanto è possibile verificare come tutti gli elementi portanti dell’episodio si configurino secondo un ordine interno, un’architettura che è coerentemente sempre circoscrivibile tramite i numeri 6 e 8.

 

Innanzitutto, la regione della Terra Santa dove si realizza l’incarnazione del Logos è la Galilea. Ebbene, la parola Γαλιλαια vale gematricamente 86[3].

Dal canto suo, il valore 68 corrisponde ad ανθη[4], che traduce “fiore”. Ciò è da intendersi quale esplicito riferimento alla cittadina di Nazareth, il cui nome, derivante dall’ebraico Netzer, significa appunto “fiore, germoglio”. Dall’esegesi biblica tale nome viene posto in relazione con la profezia che indicava il Messia quale germoglio di Davide. E inoltre, S. Girolamo e S. Bernardo esplicitamente chiamano Nazareth: “fiore di Galilea”.

Proseguendo nelle osservazioni, notiamo poi che la somma di 86 + 68 è uguale a 154, che è il valore gematrico di Γαβριηλ[5], il nome dell’Arcangelo Gabriele: colui che portò l’annuncio alla S. Vergine Maria.

Peraltro, il saluto angelico “Rallegrati (Ave) Maria”, che in greco si traduce Χαιρε Μαρια, vale 868[6], numero che può leggersi quale sintesi di 86-68.

E se valutiamo 686 quale sintesi di 68-86, perveniamo al valore di οαρ παρθενος[7], che significa “vergine compagna di matrimonio/intima congiunta”[8].

E ancora: la somma di 868 + 686 è pari a 1554. A questo valore corrisponde la locuzione ιη χαιρετισμος[9], che tradotta letteralmente significa “la voce come saluto/omaggio/visita”. Tale “voce” è appunto quella dell’Arcangelo Gabriele; fu proprio essa che, nel momento della Salutazione, svolse il ruolo di fecondare il grembo della S. Vergine, tant’è che la patristica ha sempre ritenuto che tale fecondazione avvenne attraverso l’“orecchio” di Maria[10].

 

Significati simbolici

Da questa breve disamina, che potrebbe ad ogni modo dar vita anche ad ulteriori approfondimenti, ci sembra chiara la conferma del sempre presente, vivo e fecondo soffio del divino Logos creatore nella tessitura più intima della vita terrena e, soprattutto, del logos umano.

Ma quale senso simbolico può mantenere questa reiterata e coerente presenza dei valori numerici 6 e 8 nell’architettura entro cui si svolge l’episodio dell’Annunciazione?

Il numero 6 è quello dei giorni impiegati per la creazione del mondo; quindi, esso è mediatore “temporale” tra il Principio e la manifestazione. Oltretutto, indica le sei direzioni “spaziali” del creato (quattro punti cardinali, più zenith e nadir). In maniera analoga, l’incarnazione del Logos avviene emblematicamente proprio nel sesto mese, come riferisce sempre la pericope di S. Luca evangelista.

Da parte sua, il numero 8 è quello relativo al “giorno eterno”: quello che suggella l’intera creazione, annunciando la Resurrezione del Cristo e quella umana, nonché la Beatitudine del nuovo secolo e l’avvento del Regno.

 

Sulla base di queste premesse è facile allora comprendere che l’Annunciazione – che ricordiamo va primariamente intesa come l’evento storico, unico e irripetibile, dell’incarnazione del Logos – configura e riassume in sé l’intero evo umano: dalla creazione alla Parousia. E di tale parabola, esso evento costituisce quel momento apicale che usualmente si usa denominare la “pienezza dei tempi”.

Non per nulla al solito valore 686, gematricamente corrisponde pure αμα Εμμανουηλ[11] che significa “ai tempi dell’Emmanuele”, ossia “del Dio con noi”.

Mentre, per parte sua, a 868 corrisponde η κουρος[12], che significa “in quanto/come un bambino/figlio”.

Il rimando è in pratica alla nota profezia di Is 7,14, in cui si afferma che il segno della venuta del Cristo sarebbe stato quello della “vergine che avrebbe partorito un figlio”, e che questi si sarebbe chiamato “Emmanuele”: ciò a denotare, ormai, l’intima vicinanza straordinariamente assunta da Dio nei confronti dell’uomo[13].

 

Centralità simbolica della S. Vergine Maria

Intendere i valori numerici 6 e 8 in maniera simbolica, significa altresì tenere in considerazione che la loro “esplicita” concomitanza possa, in verità, mantenere altresì un “implicito” riferimento al valore che, seppur non venendo manifestato, si pone comunque effettivamente fra di loro: il numero 7.

Il settimo giorno della creazione è quello in cui Dio si riposa: «Il riposo del settimo giorno segna un patto fra Dio e l’uomo. Il sette è il simbolo del compimento del mondo e della pienezza dei tempi. Secondo S. Agostino esso misura il tempo della storia, il tempo del pellegrinaggio terrestre dell’uomo»[14].

Il numero 7 rappresenta insomma la “senaria” totalità dello spazio-tempo, ossia della manifestazione, più il “centro” dal quale essa manifestazione scaturisce. E’ pertanto l’immagine del compimento di una totalità ciclica, ma intesa “in movimento”. Secondo Clemente Alessandrino, al termine dello sviluppo “senario”, il numero 7 rappresenta il ritorno al centro, al Principio.

E’ proprio questo suo valore di “ritorno al non-manifesto” che avvicina tale numero al simbolismo della “verginità”, della Sapienza e, quindi, anche alla S. Vergine Maria: così come del resto, anticamente, veniva associato alla dea Atena/Minerva, in quanto nata direttamente dalla testa di Zeus.

Nel V secolo a.C. Filolao paragona il numero “sette” alla dea Atena, “conduttrice e signora di ogni cosa, eterna divinità, perseverante ed immota, sempre uguale a sé stessa, diversa da ogni altra”, enunciando così le qualità essenziali di codesta entità numerica.

Infatti, l’origine dell’associazione del sette alla “purezza” e alla “castità” ha ragioni simbolico-matematiche: il sette è un numero primo “non genera e non viene generato”, è perciò indivisibile e non ha alcun prodotto nella prima decade.

Riprendendo pertanto in considerazione i numeri 6 e 8, in quanto basi di tutto il simbolismo in oggetto, possiamo notare ciò che scaturisce dalla loro relazione allorché espressa nel seguente modo:

(6+8) + (6×8) = 14 + 48 = 62.

Ebbene, questo è esattamente il valore di αγνη[15] che traduce “la pura, santa, immacolata, casta, incontaminata”: tutti epiteti chiaramente riferibili alla S. Vergine Maria.

Nel processo che conduce dalla Creazione alla Parousia Ella mantiene, insomma, una posizione ed una funzione di centralità.

Come tramite Lei il Logos è sceso tra gli uomini la prima volta, nella carne, così sempre tramite Lei riscenderà la seconda volta alla fine dei tempi, nella gloria.

 

Il presente scritto è stato pubblicato sul seguente blog:

www.ideeazione.com (25.03.23)

 

NOTE

[1] Vedi nel presente sito, in “Scienza ed Arte Sacra”, gli articoli:

a) Breve introduzione al concetto di omologhia ed alla pratica della gematria

b) Sacralità e sapienzialità del Rosario Mariano

c) Il Santo e Sacro Nome di Gesù

d) L’Astro dei Magi

https://www.ideeazione.com/sacralita-e-sapienzialita-del-rosario-mariano-in-occasione-della-scadenza-liturgica-del-7-ottobre/

AA.VV., Misteri mariani. Il Santo Rosario Porta della Sapienza, Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis (a cura di), Ed. Cantagalli, Siena 2022, pp. 41-61.

 

[2] Ciò è da intendersi nel senso heideggeriano di passaggio dal ληθη all’αληθης, ossia dallo stato principiale e  immanifesto a quello manifesto.

[3] 86 = 3+1+30+10+30+1+10+1.

[4] 68 = 1+50+9+8.

[5] 154 = 3+1+2+100+10+8+30.

[6] 868 = (600+1+10+100+5) + (40+1+100+10+1) = (716) + (152).

[7] 686 = (70+1+100) + (80+1+100+9+5+50+70+200) = (171) + (515).

[8] Va ricordato che la S. Vergine Maria e S. Giuseppe, al momento dell’Annunciazione, erano promessi sposi, ma non ancora uniti in matrimonio. Tuttavia, era prassi dell’epoca che il fidanzamento avesse già effetto di vincolo matrimoniale, seppure la sposa sarebbe entrata nella casa del marito solamente dopo un anno.

[9] 1554 = (10+8) + (600+1+10+100+5+300+10+200+40+70+200) = (18) + ( 1536).

[10] Dante, nella Commedia, tiene in gran conto la “voce” dell’Arcangelo. In Par 14,36 ne evidenzia la soavità per paragonare ad essa quella di Re Salomone. In Par 23, 94-108, Gabriele appare come il glorificatore di Maria e cantore di un canto indescrivibilmente dolce.

[11] 686 = (1+40+1) + (5+40+40+1+50+70+400+8+30) = (42) + (644).

[12] 868 = (8) + (20+70+400++100+70+200) = (8) + (860).

[13] La medesima profezia viene peraltro citata anche in Mt 1,23, quando l’Arcangelo Gabriele appare a S. Giuseppe per rassicurarlo sulla effettiva verginità di Maria.

[14] J. CHEVALIER – A. GHEERBRANT, Dizionario dei Simboli, Rizzoli, Milano 1992, vol. II p.377.

[15] 62 = 1+3+50+8.