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Di Leone XIII riscopriamo la Immortale Dei (di Rino Camilleri)

Leone XIV e Leone XIII

(Preambolo della Redazione)

Prendiamo spunto dalla pubblicazione di un articolo di Rino Camilleri, apparso di recente sul sito de La Nuova Bussola quotidiana (https://lanuovabq.it/it/di-leone-xiii-riscopriamo-la-immortale-dei) e ripreso poi anche in quello di Maurizio Blondet (https://www.maurizioblondet.it/la-piu-futurisita-delle-encicliche-di-leone-13/), con il quale il noto scrittore cattolico esprimeva il più sincero auspicio che la scelta del nome pontificale assunto dal neoeletto Papa Prevost (Leone XIV), possa aver voluto significare, tra le altre cose, anche la propria sensibilità ad un richiamo all’enciclica di Papa Pecci (Leone XIII) nota con il titolo di Immortale Dei.

La continuità dei nomi tra i Pontefici, infatti, autorizza a considerare in certo qual modo come effettiva anche una medesima particolare attenzione, da parte del successivo, per quegli argomenti di carattere dottrinale e sociale che siano stati trattati, appunto, nelle ‘lettere circolari’ del precedente.

Noi del Sodalitium Equitum Deiparae Miseris Succurrentis non possiamo che condividere con estremo favore questa speranza dell’Autore, come dimostra del resto il fatto che suddetta Enciclica è stata più volta citata ed indicata nei nostri saggi, così come nelle nostre pubblicazioni articolistiche, quale uno tra i fondamentali documenti atti a dirimere le annose controversie riguardanti la corretta posizione che l’Imperium effettivamente mantiene, accanto al Papato, nel seno della Ecclesia Romana.

In particolare, nel nostro saggio ‘Cristo è Re’ (Cantagalli, Siena 2021), così come in quello a nome del nostro Priore Cosmo Intini ‘Scritti sull’Imperium, per un ritorno all’Europa che verrà’ (Solfanelli, Chieti 2025) di imminente pubblicazione, il Sodalizio ha già fermamente sottolineato quelli che a tutt’oggi sono gli equivoci e le incomprensioni che relegano l’Istituto imperiale alla stregua di un’entità politica obsoleta, o comunque non necessariamente unica ed insostituibile ai fini del governo sociale dei popoli che costituiscono l’Europa cristiana.

A tali lesive prese di posizione, tipiche di una mentalità laicista e profanizzata, che hanno preso sempre più piede a partire dal sec. XIX con deleterie infiltrazioni purtroppo anche in alcuni rappresentanti della gerarchia ecclesiastica, già risponderebbe quel passaggio dell’Immortale Dei in cui Leone XIII affermava: «Il potere pubblico per sé stesso non può provenire che da Dio. Solo Dio, infatti, è l’assoluto e supremo Signore delle cose, al quale tutto ciò che esiste deve sottostare e rendere onore: sicché chiunque sia investito del diritto di imperio non lo riceve da altri se non da Dio, massimo Principe di tutti».

A questa esplicita affermazione, la quale ribadisce l’origine divina della Potestas Regale dell’Imperatore, l’ufficio del quale si costituisce in terra come ‘vicariale’ rispetto al Cristo Gesù nella Sua funzione ‘Regale’ (laddove il Papa è Vicario in riferimento alla funzione Sacerdotale), fa seguito la presa d’atto di come, tradizionalmente, il rapporto di sinergia tra Papato ed Impero, laddove applicato con correttezza e concordia, abbia sempre comportato la garanzia di vera ‘pace e giustizia’ sociale: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: […] quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi. La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili […]. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei Maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine. E certamente tutti quei benefici sarebbero durati, se fosse durata la concordia tra i due poteri».

Sulla scorta di tale certezza, quindi, l’enciclica Immortale Dei afferma quanto sia auspicabile che tale concordia tra i due poteri, laddove tradita o abbandonata o negletta, torni invece ad affermare la propria ragion d’essere, con l’obiettivo di ripristinare in Europa quel loro affiancamento sinergico che oggi, purtroppo, risulta impraticabile alla luce della forzata assenza dell’Istituto imperiale.

«Dio volle ripartito tra due poteri il governo del genere umano, cioè il potere ecclesiastico e quello civile, l’uno preposto alle cose divine, l’altro alle umane. Entrambi sono sovrani nella propria sfera; entrambi hanno limiti definiti alla propria azione, fissati dalla natura e dal fine immediato di ciascuno; sicché si può delimitare una sorta di orbita, all’interno della quale ciascuno agisce sulla base del proprio diritto. Ma poiché l’uno e l’altro potere si esercitano sugli stessi soggetti, e può accadere che una medesima cosa, per quanto in modi diversi, venga a cadere sotto la giurisdizione dell’uno e dell’altro, l’infinita provvidenza divina, dalla quale sono entrambi stabiliti, deve pure aver composto in modo ordinato e armonioso le loro rispettive orbite, poiché “le autorità che esistono sono stabilite da Dio” (Rm 13,1). […] Per questo è necessario che tra le due potestà esista una certa coordinazione, la quale viene giustamente paragonata a quella che collega l’anima e il corpo dell’uomo […]. Poiché Gesù Cristo ha voluto che ciò che è di Cesare sia dato a Cesare e ciò che è di Dio a Dio […]. Veramente, in quella forma di società […] le cose divine e le umane sono armoniosamente ordinate».

Essendo indifferibile che entrambi i Poteri, del Sacerdotium e della Regalitas, si pongano alla guida dell’Europa oltre che dell’Ecclesia tutta, anche Regina Equitum si augura che Papa Leone XIV voglia ritornare a quella che è la vera tradizionale visione cattolica, secondo cui l’Impero rimane l’unica forma politica la quale, alla luce della propria identità ontologica di matrice metapolitica, mantenga la legittimità a governare le sorti temporali della cristianità.

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Di Leone XIII riscopriamo la Immortale Dei

Avendo preso Prevost il nome di Leone, tutti hanno citato Leone XIII per la Rerum Novarum, ma di papa Pecci è bene invece ricordare l’enciclica Immortale Dei, perché chiarisce bene dove intende andare a parare con il resto del suo Magistero.

La scelta di Prevost del nome di Leone XIV ha fatto, giustamente, pensare che intendesse chiamarsi a Leone XIII, papa Pecci. E di Pecci tutti, dico tutti, hanno pensato, quasi per forza di cose, all’enciclica Rerum novarum, quella che, secondo certa vulgata progressista, “aprì” finalmente la Chiesa alla questione operaia e inaugurò la c.d. Dottrina Sociale.

Ma entrambe le affermazioni sono errate, anche se, da un punto di vista propagandistico, il titolo Rerum novarum (cose nuove, novità) ha indotto ad acclamare la pretesa “apertura” dopo duemila anni di “chiusura”. Come al solito, però, basta andare a leggere il documento per scoprire che la terza parola dopo rerum novarum è cupiditas. Cioè, la “smania di novità”, che come tale viene decisamente condannata. Infatti, la Chiesa non ha certo avuto bisogno dell’avvento del marxismo per occuparsi degli operai, degli ultimi, degli emarginati, dei malati e di tutti i bisognosi possibili e immaginabili.

Leone XIII produsse molte encicliche, tra cui la fondamentale Immortale Dei, che chi scrive spera di cuore che papa Prevost abbia preso in considerazione quando scelse il suo nuovo nome. Infatti, il Leone precedente non è solo quello della Rerum novarum. E, anzi, proprio la Immortale Dei chiarisce il suo pensiero e anche dove voleva andare a parare col resto del suo magistero. Veniamo al punto. “Medievale” è ormai entrato nell’uso come termine dispregiativo, sinonimo di arcaico, arretrato e incivile. Tuttavia, proprio la Cristianità medievale è l’unico esempio storico di tentativo, riuscito, di fondare una civiltà su valori più alti.

Parola di Leone XIII: «Vi fu un tempo in cui la filosofia del Vangelo governava la società: allora la forza della sapienza cristiana e lo spirito divino erano penetrati nelle leggi, nelle istituzioni, nei costumi dei popoli, in ogni ordine e settore dello Stato, quando la religione fondata da Gesù Cristo, collocata stabilmente a livello di dignità che le competeva, ovunque prosperava, col favore dei Principi e sotto la legittima tutela dei magistrati; quando sacerdozio e impero procedevano concordi e li univa un fausto vincolo di amichevoli e scambievoli servigi». E siamo nella Immortale Dei, che così continua: «La società trasse da tale ordinamento frutti inimmaginabili, la memoria dei quali dura e durerà, consegnata ad innumerevoli monumenti storici, che nessuna mala arte di nemici può contraffare od oscurare. Il fatto che l’Europa cristiana abbia domato i popoli barbari e li abbia tratti dalla ferocia alla mansuetudine, dalla superstizione alla verità; che abbia vittoriosamente respinto le invasioni dei maomettani; che abbia tenuto il primato della civiltà; che abbia sempre saputo offrirsi agli altri popoli come guida e maestra per ogni onorevole impresa; che abbia donato veri e molteplici esempi di libertà ai popoli; che abbia con grande sapienza creato numerose istituzioni a sollievo delle umane miserie; per tutto ciò deve senza dubbio molta gratitudine alla religione, che ebbe auspice in tante imprese e che l’aiutò nel portarle a termine».

La citazione è lunga, ma parla meglio del sottoscritto. E adesso il carico: «E certamente tutti quei benefìci sarebbero durati se fosse durata la concordia tra i due poteri: e a ragione se ne sarebbero potuti aspettare altri maggiori, se con maggiore fede e perseveranza ci si fosse inchinati all’autorità, al magistero, ai disegni della Chiesa. Si deve infatti attribuire il valore di legge eterna a quella grandissima sentenza scritta da Ivo di Chartres al pontefice Pasquale II: “Quando regno e sacerdozio procedono concordi, procede bene il governo del mondo, fiorisce e fruttifica la Chiesa. Se invece la concordia viene meno, non soltanto non crescono le piccole cose, ma anche le grandi volgono miseramente in rovina”». Il concetto fu ribadito da un altro papa. Pio X, in Notre charge apostolique: «La civiltà non è più da inventare, né la città nuova da costruire sulle nuvole. Essa è esistita, è la civiltà cristiana». E non è possibile che il colto Prevost non lo sappia.

Rino Camilleri