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29 settembre: San Michele Arcangelo (di Gregorio Banti)

Grotta di S. Michele Arcangelo (Santuario di Monte S. Angelo, Gargano)

Oggi, nella festa liturgica dell’Arcangelo Michele ci vorremmo confrontare con il connubio inscindibile tra il santo militare per eccellenza e la vocazione cavalleresca sulla Terra. Cercheremo quindi di indagare come l’Arcangelo sia divenuto il protettore dei Cavalieri, che ruolo abbia svolto nell’Antico Testamento e nel millennio della Storia Medievale – epoca che l’ha scelto come uno dei suoi santi più venerati – ed infine il legame del santo con la conversione dei popoli pagani, come pure con il suo servizio alla Vergine Maria che si ripercuote sui Cavalieri cristiani che si sono consacrati ad Essa.

NOME E FUNZIONE DELL’ARCANGELO

San Michele è il comandante delle Milizie celesti, il campione di Dio, il guerriero celeste che vince e incatena satana. «Et factum est proelium in caelo, Michael et angeli eius, ut proeliarentur cum dracone. Et draco pugnavit et angeli eius, et non valuit, neque locus inventus est eorum amplius in caelo» (Apocalisse, 12, 7-9). L’invocazione di Michele, come del resto il suo stesso nome, ha carattere teoforico, ci consegna quindi direttamente il nome di Dio Padre. Infatti, dall’ebraico «mi kha El?», letteralmente “chi (è) come Dio?”, attraverso poi la latinizzazione del motto angelico, si arriva alla denominazione di Michaelem con annesso grido di battaglia, il quale è tradotto in «Quis ut Deus?» e che ritroviamo spesso nell’iconografia dell’Arcangelo. In occidente, infatti, l’Arcangelo è solitamente rappresentato nelle icone indossando la cotta di maglia e la corazza, impugnando la spada o la lancia e schiacciando sotto i suoi piedi il diavolo. La spada è sia il simbolo del Verbo che in senso assiale penetra e vince («prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio», Efesini 6, 17), sia la spada a doppio taglio dei Cavalieri cristiani, simbolo del duplice combattimento spirituale e secolare. San Michele è anche stato raffigurato con la spada fiammeggiante che lo identifica come il guardiano dell’Eden, dopo che Dio ebbe scacciato i primi uomini dal giardino: «Scacciò l’uomo e pose a oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante, per custodire la via all’albero della vita» (Genesi 3, 24).

Il compito di San Michele, come quello di tutti gli Angeli del Signore, è anche quello di custodire gli uomini dal male e dal peccato e perciò assume il ruolo di comando degli Angeli custodi. Lo specifico ufficio dell’Angelo però è quello di annunziare, portare gli annunci di Dio. A conferma di questo, oltre al significato della parola “Angelo”, dal greco “ἄγγελος”, messaggero, è papa San Gregorio Magno[1] a spiegare: «È da sapere che il termine ‘Angelo’ denota l’ufficio, non la natura. Infatti quei santi spiriti della patria celeste sono sempre spiriti, ma non si possono chiamare sempre Angeli, poiché solo allora sono Angeli, quando per mezzo loro viene dato un annunzio. Quelli che recano annunzi ordinari sono detti Angeli, quelli che invece annunziano i più grandi eventi, son chiamati Arcangelo» (Omelie sui Vangeli). Ecco che Michele assume una funzione gerarchicamente superiore a quella dell’Angelo messaggero. Infatti, l’Arcangelo è comandante e conduce la battaglia di Dio contro il drago come descritto nell’Apocalisse di San Giovanni. Michele assiste i cristiani nella lotta e diventa particolare ausilio per i Cavalieri perché infonde in loro l’azione di Dio richiedente virilità e forza; è l’Arcangelo a essere il luogotenente dei soldati di Cristo, a essere «Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo» (Daniele 12,1). Oltre a essere guida nella lotta nel mondo assume particolare rilievo nella lotta spirituale, soprattutto quando viene equiparata ad una effettiva lotta fisica con i demoni, portatori delle tentazioni che affliggono gli uomini. Ecco perché non solo soldati ma anche asceti e chierici si rivolgono a San Michele: l’Arcangelo diventa il “braccio di Dio”, l’anello di congiunzione che consegna la forza di Dio agli uomini che la richiedono: «La Chiesa considera San Michele il mediatore della preghiera liturgica. Egli è l’anello tra l’umanità e la divinità. Dio, che dispone con ordine mirabile le gerarchie visibili e invisibili, si serve, a lode della Sua gloria, del ministero di questi spiriti celesti che contemplano sempre il volto del Padre, e che sanno meglio degli uomini amare e ammirare la bellezza della Sua infinita perfezione» (Don Prosper Guéranger).

La Chiesa non ha mai dimenticato il suo protettore, nel corso della storia non ha mai smesso di invocare San Michele, protettore celeste del corpo mistico di Cristo. Dalla visione di Gregorio Magno dell’Arcangelo che rinfodera la spada nell’imperversare della peste ne è stato tratto il baluardo dello Stato Pontificio durante gli assedi e le battaglie alle porte di San Pietro: Castel Sant’Angelo[2]. Il percorso di Michele nella storia della Chiesa e dell’Europa è tortuoso e si può dire che derivi da un profondo quanto lontano passato che comincia dall’inizio della storia dell’uomo e prosegue ancora oggi. Il culto micaelico è stato rinvigorito in tempi relativamente recenti dall’opera di papa Leone XIII che ne ha dedicato la preghiera di affidamento dopo la sua agghiacciante visione del 13 ottobre 1884, quando il Pontefice rivelò di aver visto la cruenta battaglia tra la Chiesa di Cristo e Satana: 

Oratio ad sanctum Michael (Leone XIII)

Sancte Michael Archangele,

defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium.

Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis,

satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute, in infernum detrude. Amen.

Preghiera a san Michele (Leone XIII)

San Michele Arcangelo, difendici nella lotta; sii nostro aiuto contro la cattiveria e le insidie del demonio.

Gli comandi Iddio, supplichevoli ti preghiamo: tu, che sei il Principe della milizia celeste con la forza divina, rinchiudi nell’inferno satana e gli altri spiriti maligni

che girano il mondo per portare le anime alla dannazione. Amen.

IL CULTO MICAELICO NELL’OCCIDENTE CRISTIANO

Sappiamo già che San Michele è la prefigurazione del Cavaliere perfetto in epoca medievale e sappiamo essere stato uno dei santi “preferiti” agli albori delle crociate. Cominciamo però con ordine: la figura dell’Arcangelo, che è sempre stata indicata dal Magistero della Chiesa, compare presso i nuovi popoli germanici che andarono ad occupare in Europa le macerie lasciate dalla Civiltà romana. Il processo di conversione dei nuovi popoli richiese uno sforzo notevole dal punto di vista dei chierici missionari romani, ma ancora più interessante è il suo risvolto culturale: i guerrieri germanici animati da una religiosità sanguinaria pagana si affezionarono presto all’invincibile San Michele e così il suo culto fu raccomandato dalla Madre Chiesa per facilitare una conversione che, per forza di cose, richiese un’assimilazione culturale nella figura archetipica guerriera. Curioso allora è come i primi ad affezionarsi alla figura del Cavaliere celeste furono gli stessi primordi di una Cavalleria che stava sorgendo, secolo dopo secolo, dalla profondità della storia e dall’oscurità degli antichi miti. Furono infatti i Goti ad assorbire una cultura scito-sarmatica i cui contenuti culturali e le tecniche di combattimento sfociarono nel combattere a cavallo, con tutti i valori simbolico-religiosi che la stessa figura dell’animale porta con sè[3]. Così ecco che i vecchi idoli pagani venivano sostituiti dalle figure dei santi, preferibilmente militari. La scelta ad opera dei nuovi popoli ricadde molte volte su San Michele e avvenne che in breve tempo si sparsero nella geografia dell’Europa cristiana innumerevoli santuari: stava sorgendo un considerevole numero di luoghi riservati al culto micaelico. I santi militari assunsero un’importanza cruciale: San Martino di Tours, San Giorgio, San Teodoro, San Sebastiano, San Crescenziano, San Denis e San Michele divennero i santi nazionali dei popoli che composero l’Europa dell’Alto medioevo. La Chiesa ne santificò la funzione pubblica e così l’Arcangelo, difensore del popolo di Israele, entrò nella venerazione popolare.

SAN MICHELE E I LONGOBARDI

Per spiegarci storicamente come il popolo longobardo sia diventato il più devoto all’Arcangelo bisogna considerare la guerra intercorsa fra l’Italia Longobarda e l’Impero Romano d’Oriente all’altezza dei secoli VI e VII. Come spesso accade nella storia, l’incontro-scontro ravvicinato della guerra permise una penetrazione sia politica che culturale dei due contendenti bellici. Inoltre, la natura confinaria di quei secoli lasciò ampio spazio di manovra alle pratiche missionarie e alla fermentazione dei culti popolari e rurali che, nel nostro caso, fecero la fortuna spirituale del popolo degli “uomini dalla lunga barba”. Ci appare evidente che a subire l’influsso culturale sia stato il giovane popolo germanico, mentre il ruolo di magister sia toccato ai Romani d’Oriente, considerata la differenza culturale tra le due entità e la longevità stanziale degli stessi Romani nelle terre bagnate dal mare nostrum, rispetto ai germani migrati dalle foreste continentali dell’odierna Germania e dai fiordi della penisola Scandinava. Ebbene, il culto di San Michele, già in vigore presso Costantinopoli, ricoprì le zone di influenza dei Romani di lingua greca che, anche politicamente, ma soprattutto nella cultura religiosa, influenzarono non poco i vicini confini italiani soggetti in quel tempo al dominio longobardo. Da molto più tempo però il popolo longobardo era solito prestare servizio mediante truppe mercenarie a favore del colosso orientale romano. In più, allo scoppio della contesa fra ariani e cattolici, il culto micaelico servì da coagulo della disputa, soprattutto se si considera che l’eresia ariana aveva una discreta presa sui popoli germanici per via delle opportunità politiche che portava con sé la scelta dell’eresia, piuttosto che rispettare il Credo Niceno[4]. Perciò i Longobardi, che più di tutti subirono l’influenza della cultura religiosa da parte dell’Impero Romano d’Oriente, divennero i più forti sostenitori di San Michele, mentre i Franchi stavano sviluppando il loro culto cristiano nazionale attorno ai martiri dell’area gallo-romanza. I Longobardi furono dunque i raccoglitori di un culto che fruttificò nell’avanzare dei secoli: ad ogni angolo del regno vi posero l’effige del loro santo “nazionale” e arrivarono a coniare le monete con l’effige dell’Arcangelo.

Il principale luogo di culto di San Michele si trova infatti proprio al congiungersi dell’Italia Longobarda con i residuati territoriali dell’Impero Romano orientale, sul Monte Gargano in Puglia, di cui parleremo meglio anche in seguito. È qua che già a partire dai secoli altomedievali cresce sempre di più il culto. San Michele attira pellegrini da ogni parte d’Europa: Angli, Sassoni e Vichinghi, ma anche Ungari e Frisoni, attirati dall’esemplarità del santo tanto somigliante alle figure mitologiche della loro vecchia religione pagana. Questi avventurieri si riversarono nella grotta di Michele dando inizio quindi ad uno dei percorsi di pellegrinaggio più antichi della nascente Europa. Questo accadde anche perché i popoli da poco convertiti al cristianesimo volevano e sentivano il bisogno di attingere alla loro nuova fede mediante la concretezza del santuario e del pellegrinaggio, toccando quindi con mano i luoghi considerati santi e le reliquie portatrici di influenza benefica sulle proprie anime. Ecco perché i primi pellegrini sono più spesso provenienti dagli angoli più remoti della cristianità: i nuovi popoli, freschi di conversione, volevano percepire con i propri sensi la potenza del Cristo mediante i suoi segni e i suoi messaggi lasciati qua sulla Terra per noi. La Chiesa incoraggiava un simile pellegrinaggio e indirizzava i pellegrini romei, diretti alla città Eterna, a proseguire verso la Puglia. Il culto di Michele e il suo pellegrinaggio diventò rapidamente celebre nell’occidente cristiano, tanto da tracciare nel seno della vecchia Europa la “Linea Michelita”: una sorta di lancia (non a caso) immaginaria sovrapposta alla cartina del continente per identificare i luoghi dove sorgono santuari dedicati all’Arcangelo: dalla lontana Irlanda[5] all’Inghilterra[6], dalla Francia[7] al Piemonte[8], per poi passare in Italia sul Monte Gargano[9] e procedendo poi fino alla Grecia[10] e alla Palestina[11]. Considerata dunque la celebrità e l’affluenza dei cristiani presso questo santuario non si può trascurare la notizia dell’arrivo dei Normanni in Italia Meridionale su spinta di questo grande e famoso culto, soprattutto presso i popoli guerrieri di recente conversione come appunto gli “uomini del Nord”. Del resto, che i Normanni siano giunti in Italia per pregare l’Arcangelo non esclude le altre motivazioni: sete di guadagno, di avventura, di conquista, di espansione. Conseguentemente, considerato il secolo XI come il secolo del surplus demografico, di risorse e di ricchezza, la fortuna dei Normanni in Italia ricade nel processo generale di espansione che l’Occidente medievale stava attraversando in quel secolo: conquistare una parte d’Europa rimasta ai margini dopo lo spostamento del potere a Nord, presso l’Impero carolingio, semmai, rientra senza contraddirsi in una intenzione di guerra e di fede che possiamo denominare, come per le crociate, “pellegrinaggio armato”.

SAN MICHELE E I NORMANNI

I Normanni giungono in Italia Meridionale nel XI secolo in un panorama ben diverso dai castelli e dalla frammentazione feudale che avevano conosciuto in Normandia e nel cuore del Regno Franco. In Italia, infatti, perdurano vecchi ducati centralizzati ancora legati alla concezione dello Stato ereditata da Roma imperiale. Qua gli “staterelli” si combattono fra loro mantenendosi indipendenti sia dal vecchio Impero Romano d’Oriente che dal Sacro Romano Impero. In questo contesto di guerra di frontiera i mercenari più formidabili si rivelano essere i Cavalieri Normanni che dall’avventura di Rainulfo Drengot, al servizio dei ducati longobardi di Salerno e Benevento, accorsero, sempre più in numero e in cerca di fortuna e gloria, in quell’angolo d’Italia ricco di opportunità per dei prodi Cavalieri dalle doti guerriere invidiabili. La loro storia in Italia proseguì costellandosi di vittorie sotto la genialità del comando di Roberto il Guiscardo: i Romani d’Oriente arretrarono, i ducati longobardi furono sottomessi e la Sicilia fu infine conquistata e liberata dai Saraceni. Il novello regno di Sicilia fu vassallo del Papa, ma mantenne il suo vigore guerriero. I Normanni assunsero la funzione terrena dell’Arcangelo in Cielo: proteggere la Chiesa di Cristo con la spada. Dalla posizione privilegiata del Sud della penisola il fiorente regno normanno godette delle traduzioni della sapienza filosofica e religiosa dall’arabo, dal greco e dall’ebraico, riscoprendo la funzione e il bagaglio simbolico-religioso dell’Angelo protettore del popolo d’Israele.

IL SANTUARIO DI SAN MICHELE AL MONTE GARGANO

Il fulcro del culto micaelico aveva il suo centro in Puglia, nella grotta di San Michele sul Monte Gargano. La leggenda vuole che l’Arcangelo apparve al vescovo Maiorano, cugino dell’Imperatore d’Oriente Zenone, il quale consacrò e consegnò il culto alla diocesi pugliese. La grotta fu quindi occupata dalla presenza angelica e consacrata direttamente dall’entità celeste quale luogo della sua venerazione, in quanto porta d’accesso al Cielo. La grotta divenne subito un santuario, un luogo meraviglioso “dove qualsiasi legame di colpa viene sciolto” (iscrizione del santuario) dando inizio ad un pellegrinaggio allo stesso tempo penitenziale e carico di fascino guerriero per i novelli cristiani d’occidente. Questo nuovo tipo di sacralizzazione dello spazio nel mondo mediterraneo si sviluppò con il tipo di santuario teofanico, poiché nato, secondo le leggende di fondazione, da una manifestazione divina e, più spesso, dall’apparizione di un Angelo. Come se l’Angelo venisse a trasmettere un messaggio di Dio, quello di edificare un nuovo spazio sacro per mediare tra Cielo e terra, compito riservato agli Angeli stessi, secondo il comando di Dio. Esattamente come per i santuari mariani quindi, quelli dedicati a San Michele si qualificano anche come ierofanici, manifestazioni concrete del sacro proveniente dai Cieli. L’Arcangelo sarebbe apparso tra il 490 e il 492 sul Gargano, a nord della Puglia e presso una grotta trasformata poi in santuario già dal VI secolo. Il fatto che il nuovo santuario fosse un grotta, e quindi un luogo dai richiami esoterici e sotterranei, non è da poco: nell’Alto medioevo la Chiesa predicava ancora contro gli idoli pagani dall’aspetto e dalle caratteristiche solitamente connotate ad un luogo rurale; l’apparizione di San Michele presso un luogo così “poco cristiano” rientra, pensiamo, nel lungo processo di spoliazione dei resti pagani e parallelamente accompagnato da una progressiva cristianizzazione di montagne, grotte e luoghi tetri, inaccessibili e dal rimando tenebroso. La consacrazione del luogo da parte dell’Angelo stesso coincide con la campagna altomedievale di cristianizzazione, anche in senso geografico e toponomastico. Ecco spiegate le parole bibliche pronunciate da Giacobbe nella Genesi e abilmente incise sulla pietra del santuario del Gargano: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (Genesi 28, 17)[12]. Il nuovo e strutturato culto dell’Arcangelo favorì la cristianizzazione delle alture più inaccessibili, dove risiedevano gli ultimi rimasugli di paganità. Il neoplatonismo dei padri greci favorì la pratica della “santa caverna”, frutto di una progressiva cristianizzazione del vecchio mito platonico: l’uomo, illuminato dalla rivelazione divina, usciva dalla schiavitù del paganesimo. L’affezione crescente, tutta occidentale, verso il Santo Sepolcro unì la devozione a San Michele con la luce della Resurrezione che fuoriusciva dalla grotta del sepolcro di Gesù.

I luoghi più impervi furono occupati e consacrati dalle nuove schiere di monaci: Monte Aureo vicino a Salerno e il santuario francese di Mont-Saint-Michel, contenente reliquie prelevate dal marmo del Gargano, ne trassero giovamento in prestigio e considerazione religiosa. Non finisce qua, l’esempio della grotta del Gargano, a riprova dello speciale legame tra San Michele e la Vergine Maria di cui parleremo in seguito, dette ampio respiro per lo sviluppo dei nuovi santuari mariani, anche in epoca moderna. Lourdes, a fine Ottocento, è una grotta artificiale riprodotta sull’esempio del Gargano. Il santuario micaelico in Puglia, con tanto di concessione da parte di Bonifacio IX (1389-1404) dell’indulgenza plenaria per i pellegrini, riceve pari considerazione rispetto a San Pietro a Roma, Santiago di Compostela, Sant’Antonio a Vienne, San Francesco ad Assisi e la Madonna di Loreto. Fino al XVI secolo le donazioni pellegrine sono devolute per quasi la metà (47,5 %) al santuario di San Michele al Gargano, seguito subito dopo dalla Santa Casa di Loreto (19 %)[13]. L’aspetto e la percezione del sacro presso il Monte Gargano riuscì indirettamente anche a favorire nuovi santuari comparsi nel corso dei secoli nella nostra Europa: Montserrat, in Catalogna, e il santuario francescano della Verna, in Toscana, attirarono pellegrini e suscitarono conversioni per l’aspetto “naturalistico” della composizione del santuario. Il Gargano aveva aperto le porte alla sacralizzazione delle montagne e delle pietre: gli autori medievali avevano perciò dato importanza all’elemento minerario, segno del potere divino. La durezza e la forma delle rocce richiamava il potere di Dio secondo la narrazione evangelica: le pietre di Chiusi di La Verna sarebbero state spezzate in maniera “anomala” a seguito del terremoto scaturito dalla morte di Gesù Cristo sulla croce nel 33 d. C. Questo tipo di santuari, definiti come “cosmici” dal Vauchez, nel corso della storia divennero luoghi legati ad apparizioni mariane. Non si può tacere delle celebri visitazioni di santi e asceti presso il santuario di San Michele al Gargano. Ricordiamo quindi Sant’Anselmo d’Aosta, San Bernardo di Chiaravalle (il santo del De Laude Novae Militiae!), San Francesco d’Assisi e San Pio da Pietrelcina; anche Papi e Imperatori si riversarono nella grotta dell’Arcangelo: primo fra tutti Urbano II, il Papa della prima e più gloriosa crociata.

SAN MICHELE E LA VERGINE

Il legame tra la Vergine e l’Arcangelo, come abbiamo accennato precedentemente nel corso dell’articolo, ci si presenta come indissolubile. Un filo rosso che lega l’archetipo del guerriero cristiano di San Michele con quello della perfezione umana di Maria e con la sua funzione di Dama ispiratrice per il guerriero, fontana di forza e di giustizia celeste a cui il Cavaliere sente doveroso di conformarsi. Nella nostra indagine tra la Vergine e San Michele, di cui cerchiamo di svelarne le motivazioni storico-religiose, ci corre in aiuto il santo del Trattato della Vera Devozione alla Vergine Maria, San Luigi Maria de Montfort: «Sant’Agostino dice che San Michele, il principe di tutta la corte celeste, è il più attento a renderle onori (a Maria) e desidera molto recare aiuto a qualcuno dei suoi devoti, a un suo semplice cenno». Per capire le parole del Montfort bisogna ricordarci che Dio pose inimicizia tra il diavolo e la donna, essa quindi «è la più terribile avversaria del diavolo che il Signore abbia creato», «l’umiltà della Madonna lo umilia (il diavolo) più della divina onnipotenza» (San Luigi Maria de Montfort, Trattato della Vera Devozione alla Vergine Maria). Il diavolo non sopporta Maria perché umana, satana è perfetto teologo e entità di intelligenza angelica, sa di doversi inchinare e sottomettere di fronte a Dio Creatore, ma inchinarsi ad un essere talmente umile come Maria, essere schiacciati da una creatura umana, diventa per lui insopportabile. Ecco perché San Michele, come il Cavaliere con la sua Dama, onora la Vergine più di ogni altro; Essa è la Dama per eccellenza come l’Arcangelo è il guerriero celeste per antonomasia, trae forza da Lei per incatenare e vincere il diavolo. San Michele è a buon diritto il servo più fedele di Maria, il suo servo celeste come i Cavalieri lo sono sulla Terra, colui che lanciò il suo grido di umiltà “Chi come Dio?” a colui che voleva orgogliosamente essere “come Dio”.

Se consideriamo il concetto di “recapitolazione” (anakephalaiosis) ideato da Sant’Ireneo, secondo cui Cristo ricapitola la storia umana, Maria ricopre il ruolo di Eva, per cui «come la vergine Eva, essendosi resa disobbediente, aveva messo a tacere la parola di Dio, vivendo nella disobbedienza, così la vergine Maria, essendosi resa obbediente alla parola di Dio, divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano» (Sant’Ireneo, Adversus Haereses, III, 22, 4). Eva è simbolo della disobbedienza e dell’orgoglio femminile mentre Maria dell’umiltà materna: Cristo ripara al danno causato dal primo peccato, Maria annienta il serpente che l’aveva sobillato ad Eva: «Così, per una vergine che divenne sposa di Dio, fu ristabilita la giustizia, come per una vergine era stata infranta» (Sant’Ireneo, Adversus Haereses III, 21, 10). In definitiva, siccome «Maria divenne la causa della salvezza per sé e per tutto il genere umano, essendosi resa obbediente alla parola di Dio», per sua umiltà, viene innalzata da Dio e Le viene consegnata la capacità di essere obbedita dagli Angeli, il cui comandante è San Michele.

GLI ORDINI CONSACRATI ALL’ARCANGELO

Come abbiamo anticipato, Michele è riferimento per tutti i cristiani che vogliano ispirarsi alle virtù celesti. I nascenti ordini religiosi, i monaci e gli asceti dell’Alto medioevo ricorrono alla devozione micaelica poiché l’Arcangelo veniva considerato il massimo oratore di Dio, il custode dei religiosi e il “traghettatore” delle anime presso Dio[14]. L’abbazia di Pulsano è subito costruita sul Gargano e posta sotto la protezione di San Michele direttamente da Gregorio Magno, dopo la sua visione a Roma. Lo stesso Ordine Benedettino fonda Bobbio, il cui connubio tra San Michele e l’abbazia di Pulsano, dedicata a Maria Madre di Dio, vive fino al XIV secolo. Come non parlare poi degli Ordini monastico-cavallereschi sorti dopo le Crociate: San Michele è il loro primo protettore, il difensore dei pellegrini. I Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni (poi Cavalieri di Rodi e di Malta), i Cavalieri del Santo Sepolcro, i Templari e i Teutonici saranno per tutto il corso della loro storia particolarmente legati all’Arcangelo e al pellegrinaggio micaelico presso il Gargano. Non finisce qui: nel medioevo in Spagna e in Portogallo si combatteva la Reconquista, fra le decine di Ordini cavallereschi pronti a sacrificarsi per riportare Cristo in quelle terre citiamo l’Ordine dell’Ala di San Michele, fondato dal re del Portogallo Alfonso Enrique intorno al 1170. In Francia Re Luigi XI fondò l’Ordine di San Michele, nel 1469, a difesa della Fede e del Regno, grazie al quale i Cavalieri consacrati all’Arcangelo si impegnavano a “impiegare tutte le sue forze per la difesa della santa religione”. Sulla scia della nuova istituzione, Carlo IX si recò in pellegrinaggio al Monte Gargano e fu l’ultimo Re francese a farlo.

Dunque solo nel medioevo il culto di San Michele ebbe seguito? È naturale che nel medioevo, con la società militarizzata al massimo, San Michele ispirasse una devozione appassionata, ma il suo culto non finisce e non si eclissa nell’oblio, al mutare della marea della storia d’Europa. Per tutto il XVI e XVII secolo, infatti, Michele rimane il protettore di tutti i cattolici, allora impegnati dal 1517 nella lotta contro l’eresia luterana e calvinista. Quel tipo di eresia attaccò spesso anche le immagini dei santi e degli Angeli, per cui il culto di San Michele fu rinvigorito e preservato dalla riscossa cattolica per la riconquista dei territori e delle anime cadute nell’eresia. Le guerre combattute da Carlo V, le missioni nel Nuovo Mondo e infine la terribile Guerra dei Trent’anni (1618-1648) necessitarono ancora della protezione dell’Arcangelo e della sua spada fiammeggiante, giustizia e vigore divino. Inoltre, benché il pellegrinaggio al Monte Gargano attiri oggigiorno pochi pellegrini rispetto al passato, la devozione a San Michele, soprattutto nel suo lato liturgico più che guerriero e popolare, è già stato rinvigorito dall’opera del Pontefice Leone XIII. Grazie all’opera del Papa, San Michele è ancora evocato dai cattolici nella lotta spirituale ed esercita la sua protezione sulla Chiesa di Cristo. La forza del braccio di Dio agirà sulla Terra fino alla fine dei tempi, fino all’Apocalisse e quindi fino alla definitiva e ultima battaglia. Sancte Michael Archangele, defende nos in proelio.

Gregorio Banti

 

NOTE

[1] Per onorare la memoria del nostro santo patrono Gregorio, ci piace ricordare che la sua festa liturgica ricade proprio nel medesimo mese: precisamente il 3 di settembre.

[2] Nel 593 Roma era afflitta da una grande pestilenza che mieteva vittime a dismisura, allorché S. Gregorio Magno, la mattina di Pasqua, radunò il clero ed il popolo romano sotto la sacra immagine della Madonna Salus Populi Romani e condusse personalmente una processione penitenziale, portando egli stesso l’immagine della Madonna. Giunta la processione davanti alla Mole Adriana – che poi diverrà Castel Sant’Angelo – il Pontefice vide sulla cima di essa l’Arcangelo Michele che rinfoderava la spada ed un coro di Angeli venne udito cantare quello che poi sarà il “Regina coeli laetare”. Da quel momento cessò la pestilenza su Roma. In questo evento si devono sottolineare due particolari: 1) San Michele rinfodera la spada per le preghiere del popolo, ma la spada era stata innalzata per colpire di castigo Roma dallo stesso Arcangelo, per evidenziare la giustizia che gli Angeli rappresentano e che può venir mitigata dalla penitenza e dalla Misericordia divina 2) l’innegabile legame tra San Michele e colei che è la Regina degli angeli: Maria Santissima.

[3] Si veda F. Cardini, Alle radici delle Cavalleria medievale, Firenze, 1982.

[4] Si tenga presente che la conversione dei germani all’arianesimo, benché favorito dalla traduzione in gotico della Bibbia da Ulfila nel IV secolo, rappresentava nel mondo tardo-antico soprattutto una scelta politica: quella di sopravvivere come popolo-nazione usando la differenziazione religiosa rispetto ai Romani. Infatti, nella maggior parte dei casi, i popoli-eserciti germanici finivano per sparire dalla storia per la rapida assimilazione e integrazione dei germani entro il sistema romano totalizzante. La scelta di essere “ariani” rappresentava la garanzia di continuare ad esistere come entità politica e quindi poter ancora sfruttare il sistema diplomatico tardo-antico per strappare accordi vantaggiosi dall’Impero, assicurarsi il mandato su un territorio imperiale e divenirne i signori amministrandolo secondo le leggi di Roma.

[5] Skelling Island: si tratta di un’isola deserta dell’Irlanda dove San Michele sarebbe apparso a San Patrizio su una roccia, detta appunto “roccia di Michele”, al fine di aiutarlo a liberare l’Irlanda dai demoni prima dell’evangelizzazione dell’isola.

[6] Saint Micheal’s Mount: un isolotto della Cornovaglia che con la bassa marea si unisce alla terraferma, proprio come avviene in Francia, dove l’Arcangelo sarebbe apparso nel 495 a dei pescatori.

[7] Mont Saint Michel: Sant’Auberto fu eletto vescovo di Avranches per acclamazione popolare e fu colui che fondò la famosa Mont Saint Michel. Anche questa per diretta richiesta dell’Arcangelo che apparve al vescovo chiedendogli di costruire una chiesa a lui dedicata a Le Rocher de la Tombe – o Monte Tomba – sulla costa dietro Avranches dopo avergli fatto vedere la lotta contro il Dragone Antico. Dovette affrontare ostacoli insormontabili e solo dopo due altre apparizioni il progetto fu portato a termine e dedicato a San Michele nel 709 (ma probabilmente costruito e terminato molto prima).

[8] Sacra di San Michele: in Piemonte nella Val di Susa il vescovo di Ravenna Giovanni detto Vincenzo si ritirò in eremitaggio e si accinse a costruire una chiesetta, ma durante la notte i materiali di costruzione scomparivano per poi riapparire in un altro luogo, in cui San Michele indicò di costruire una chiesa a lui dedicata.

[9] Monte Sant’Angelo: in Puglia sul Gargano nel 490 l’Arcangelo apparve a San Lorenzo Maiorano, vescovo di Siponto, per costruire un tempio nei pressi di una sacra grotta consacrata dallo stesso San Michele.

[10] Monastero di San Michele Arcangelo: nell’isola di Simi, in Grecia, venne ritrovata da una donna un’immagine di San Michele con particolari qualità miracolose. Essa venne copiata in mille altre, fino ad arrivare alla più grande statua del mondo dell’Arcangelo (3 metri) ed il monastero annesso del XII sec. Nell’isola ci sono altre 9 chiesette dedicate a San Michele, corrispondenti ai 9 ordini angelici.

[11] Monastero Stella Maris: ad Haifa esattamente sul Monte Carmelo, tanto caro ad Elia e a Maria SS.

[12] D’altronde la manifestazione dell’Angelo è sempre una teofania terribile, paralizzante, invincibile, evocando la giustizia divina nella sua potenza più alta; e solo grazie ad un moto di misericordia divina può essere mitigato e adattato all’umanità. Non dimentichiamo le presenze angeliche dell’Antico Testamento e quelle dell’Apocalisse di San Giovanni, nella quale i castighi che gli angeli vorrebbero lanciare sono costantemente mitigati dalla misericordia divina.

[13] Dati ripresi da A. Vauchez, Sulle orme del sacro. I santuari dell’Europa occidentale IV-XVI secolo, Ediz. Laterza, Roma-Bari 2025.

[14] Infatti, nell’iconografia di San Michele, il santo Arcangelo è spesso rappresentato con una bilancia oltre che con la spada. Il segno della bilancia riconduce San Michele alla funzione psicopompa al momento del giudizio di Dio sulle anime degli uomini, che è propria di tutti gli Angeli custodi ed un’antica tradizione vuole che sia proprio San Michele a scegliere per ogni uomo l’Angelo custode appropriato.