Vai al contenuto

“Monuments man”: dall’altra parte (di Manuel Berardinucci)

Il Capitano J. Schlegel e l’Arciabate G. Diamare (Abbazia di Montecassino, 1943)

*****

(Preambolo della Redazione)

Di fronte al degrado generalizzato del sacro e della memoria, l’arte si offre come uno degli ultimi baluardi contro l’oblio; purtroppo però, sempre più spesso si verificano attacchi ad essa, da parte della “sovversione” e dei suoi alfieri. Oggi non solo si rende “arte” ciò che arte non è, ma si tenta altresì di rileggere le opere del passato in chiave del tutto corrotta, quando addirittura non ci si impegna a “cancellarle” in vari modi.

Nell’arco della Seconda guerra mondiale è stata indetta una particolarissima ‘crociata’ contro l’arte, ad opera delle forze militari angloamericane e francesi. Ovunque queste sono arrivate hanno colpito chiese e monasteri, distruggendo o, nel migliore dei casi, facendo sparire le preziose opere custodite al loro interno.

Si rifletta per un attimo a ciò che invece avvenne a Montecassino. 

A tale scopo, vi proponiamo un articolo tratto dal sito de il Maccabeo, intitolato “Monuments Man: dall’altra parte”, che ci offre peraltro uno sguardo alternativo alla narrazione storica dominante su quanto compiuto dai militari tedeschi. 

Attraverso questa lettura possiamo riscoprire qualcos’altro ancora: un monumento non è mai neutro, ma è testimone di un’anima comunitaria, scrigno di storia e custode di bellezza.

Il film che derivò dall’episodio di guerra ivi raccontato[1], può per tutti noi costituirsi quale pretesto per sondare come, sotto la patina del tempo, si nascondano lotte simboliche che riflettono i veri significati dei conflitti autentici.

In perpetuum honorem

NOTA

[1] I diavoli verdi di Montecassino (Die grünen Teufel von Monte Cassino), 1958, diretto da Harald Reinl.

(La Redazione di Regina Equitum ringrazia l’Autore e il sito de Il Maccabeo per averci cortesemente concesso la pubblicazione del presente articolo)

*****

Julius Schlegel, nato a Vienna il 14 agosto del 1895 e cattolico di buona volontà, fu militare al servizio dell’Imperatore d’Austria-Ungheria durante la prima guerra mondiale (nel qual contesto meritò di essere decorato con la medaglia al valor militare e la Croce di Carlo I°) e poi nella Lutfwaffe, dal 1° ottobre 1939, come capitano.

La Divina Provvidenza, come i monaci benedettini stessi riconobbero, nel 1943 lo volle comandante del reparto riparazioni della Divisione Hermann Göring, durante lo sviluppo della linea Gustav in Italia. Schlegel, storico d’arte, non ignorava la prossimità tra il fronte difensivo e la storica abbazia di Montecassino, fondata nel 529 da san Benedetto da Norcia sui resti di un antico tempio. Fu Schlegel stesso, in una serie di articoli apparsi sul giornale austriaco “Die furche”, e tradotti in italiano da Giovanni Biadene, a trascrivere i suoi pensieri in quei frangenti tanto terribili: “Doveva subirne (i bombardamenti, ndR) anche il monastero in alto, sopra la cittadina? Doveva cadere vittima della guerra anche la venerabile abbazia, madre di tutte le abbazie benedettine, il sepolcro del fondatore dell’ordine, san Benedetto? (…) Che ne avrebbe avuto il mondo se, dopo la distruzione, entrambi i responsabili se ne fossero reciprocamente addossata la colpa? Non si sarebbero certamente risollevate le macerie dalla polvere; non avrebbe certamente richiamato in vita alcun Tiziano bruciato, né la millenaria biblioteca distrutta. Ne era minacciato uno dei gioielli della corona della cultura occidentale e la mia coscienza se ne sentiva responsabile!”.

Il buon comandante allora prese la risoluzione di impegnarsi, concretamente, nella messa in sicurezza dei numerosi tesori, artistici e spirituali, custoditi nell’antica abbazia, appollaiata sulla cima del monte, apparentemente così estranea al susseguirsi dei secoli e delle umane vicende. Vi erano due possibili ostacoli che avrebbero potuto infrangersi col buon proposito di Schlegel: da una parte l’eventuale disapprovazione del generale Conrath, a capo della Divisione Hermann Göring, dall’altra l’eventuale disapprovazione dell’arciabate Gregorio Diamare, il quale avrebbe potuto legittimamente diffidare di un militare straniero intenzionato a prelevare i tesori dell’abbazia. Il primo rischio, Schlegel scelse di aggirarlo semplicemente muovendosi all’insaputa dei suoi superiori (in una prima fase) rischiando sanzioni e punizioni anche esemplari. L’approvazione dell’arciabate e la conseguente collaborazione della comunità monastica, erano invece imprescindibili per la riuscita dell’intento. Il 14 ottobre 1943 il comandante venne ricevuto dall’arciabate, “fiero e modesto”, nelle parole di Schlegel, “umile ed augusto, cosciente del suo alto ufficio quale successore di San Benedetto (…) in lui non vi era nulla di imperioso, solo un’infinita bontà promanava da lui.” Il primo colloquio fu cortese ma infruttuoso. L’austriaco intendeva trasmettere all’anziano capo di quell’antica abbazia, i pericoli che essa correva dagli imminenti bombardamenti anglo-americani. L’arciabate, evidentemente ancora legato ad antichi principi cavallereschi, pareva assolutamente convinto che nessuno avrebbe osato scalfire una sola pietra del suo monastero. Chi avrebbe potuto gettare bombe su di un simile gioiello di storia, spiritualità ed arte? Soltanto gli antichi barbari longobardi nel 577 avevano aggredire e profanare quel luogo santo. Quel che molti ignoravano era che nuovi barbari, ben vestiti e d’Oltreoceano, stavano provvedendo a sradicare quel poco che restava della Civiltà Cristiana dalla vecchia cara Europa. Altri incontri seguirono a stretto giro e l’arciabate, consigliato da altri monaci ed in particolare da P. Emanuel, un benedettino tedesco, alla fine si lasciò convincere, percepì la realisticità del pericolo e dette il proprio beneplacito ad una delle più grandi opere di salvataggio artistico del secolo scorso. Iniziarono le complesse operazioni di imballaggio delle numerose antichità, le quali dovevano essere sistemate in modo da non incorrere in danneggiamento ma anche con una certa fretta legata alle contingenze. I primi carichi furono relativi alle rarità della biblioteca, sotto la supervisione benevola e la collaborazione di don Mauro, il bibliotecario del monastero. I tesori venivano sistemati in dei camion poi diretti a Roma, presso Castel Sant’Angelo per essere tratti in salvo e custoditi. Ogni viaggio verso la Città del Papa non poneva al riparo dai bombardamenti alleati soltanto i tesori dell’abbazia, ma anche i monaci, i quali due per volta venivano caricati e posti in sicurezza a Roma, ed un viaggio fu destinato alla messa in sicurezza di una comitiva di suore. Dopo i primi movimenti e le consegne avvenute, i fatti rischiarono di precipitare in modo catastrofico tanto per il monastero quanto per lo stesso Julius Schlegel. Il 23 ottobre, infatti, gli Alleati misero in atto una delle più sofisticate e sempre attuali armi di guerra: la propaganda mistificatoria. Le stazioni radio Alleate di tutto il mondo, infatti, diffusero a piene mani quella che oggi definiremmo una “fake news”, affermando letteralmente che: “La Divisione Hermann Göring saccheggia Montecassino.” A quel punto Schlegel fu obbligato ad informare il generale Conrath e ad assumersi eventualmente tutte le responsabilità di una decisione assunta arbitrariamente rispetto ai suoi stessi superiori. L’esito fu sorprendentemente positivo giacché non solo il generale approvò l’iniziativa, ma diede ordine che essa continuasse con ancora più mezzi e che fosse accuratamente documentata attraverso il coinvolgimento di alcuni uomini della Compagnia di Propaganda. Alla fine i tesori artistici del monastero, in parte imballati in casse speciali, altri ahinoi accatastati frettolosamente per l’urgenza dettata dalle contingenze, furono così trasportati da 120 camion per 140 km, fino a Castel Sant’Angelo a Roma. Tra le opere salvate vi furono 70.000 volumi della biblioteca, 1.200 manoscritti preziosissimi (incluse le opere di Cicerone, Orazio, Virgilio, Ovidio e Seneca), 80.000 documenti, oggetti di culto in metallo e preziosi dipinti, già provenienti dal Museo di Capodimonte e che erano stati portati a Montecassino per motivi di sicurezza, tra cui opere di Leonardo da Vinci, Tintoretto, Domenico Ghirlandaio, Pieter Bruegel il Vecchio, Tiziano e Raffaello.

Fu poi il turno delle reliquie ossee del patrono d’Europa, san Benedetto da Norcia. Sono notevoli le parole che Schlegel utilizzò per descrivere il commiato che l’anziano arciabate prese dalle reliquie: “Un giorno l’Abate mi onorò di una sua particolare confidenza: mi pregò di salvare di salvare anche il suo tesoro più importante, che insieme conta tra le cose più sante della Chiesa Cattolica: le ossa di san Benedetto. Potei corrispondere all’onore che mi era stato dimostrato e ci misi tutte le mie cure per conservare le reliquie di uno dei santi più importanti del mondo dei fedeli. Commovente fu il commiato che l’Abate prese dai resti del grande fondatore dell’Ordine, come egli li protesse, fin tanto che fu possibile, con le sue mani, solenne la benedizione che pronunciò su di loro, impressionante il mutare dell’espressione sul suo volto di buon vegliardo, al loro distacco. Sconcertati i suoi occhi seguirono il camion che si allontanava, per poi indugiare, inumiditi, nella direzione in cui il mezzo era scomparso. Un tremore percorse il suo corpo. Da più di quarant’anni era Arciabate di Montecassino, il ‘convento madre’ di tutti i Benedettini del mondo, che esisteva dai tempi di Totila. Così come i Papi erano i successori dell’apostolo Pietro, egli era succeduto a San Benedetto come suo rappresentante dopo un millennio e mezzo. Ed ora il ‘padre suo’ lo aveva abbandonato, ora sapeva che anche la sua sede era perduta. Non ne parlammo, non turbai il suo dolore con parole di conforto che pur bene intenzionate sarebbero state inadeguate. Solo quando il giorno dopo recai a lui, che in trepidazione aveva vegliato e pregato tutta la notte, la tanto desiderata notizia che ora le reliquie erano a Roma in buone mani, svanì la tensione dai suoi lineamenti e mi disse solennemente: <<Lei si è guadagnato un indimenticabile merito>> ed il buon Padre Emanuel confermò: <<Lei è stato lo strumento di Dio!>>. Negai e pensai che il buon Dio avrebbe potuto facilmente trovare uno strumento più degno di me.”.

Le operazioni ebbero conclusione nel novembre del 1943, quando l’Abate, che aveva deciso insieme ad altri pochi monaci di non abbandonare l’Abbazia e di sfidare con la forza delle preghiere la barbarie dei “liberatori”, chiese a Schlegel come avrebbe potuto ringraziarlo. Il buon comandante chiese la celebrazione di una Santa messa cattolica per sé e i suoi uomini nella chiesa dell’Abbazia, alla quale parteciparono anche i soldati protestanti, incantanti dalla bellezza sempiterna del Rito cattolico di sempre, imparagonabile alla freddezza delle loro mense luterane e calviniste. Dopo la messa l’Abate invitò Schlegel ad avvicinarsi all’altare maggiore, dove gli porse una pergamena “dal tipico aspetto medievale”, che in caratteri gotici e in lingua latina riportava:

«In nomine Domini nostri Jesu Christ – Illustri ac dilecto viro tribuni militum Julio Schlegel – qui servandis monachis rebusque sacri Coenobii Casinensis amico animo, sollerti studio ac labore operam dederit, ex corde gratias agentes, fausta quaeque a Deo suppliciter Casinensis adprecantur.».

(Monticasini Kal. Nov, MCMXLIII – Gregorius Diamare, O.S.B (Episcopus et Abbas Montecassini)

 

Traduzione: “Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo. All’egregio e stimato comandante militare Julius Schlegel, che di buon animo e con saggezza ha salvato con molto zelo e lavoro i monaci ed i beni del santo convento di Cassino, i Cassinesi ringraziano di gran cuore e invocano su di lui ogni cosa buona da Dio.

Montecassino, novembre 1943 Gregorio Diamare, Vescovo e Abate O.S.B. di Monte Cassino.

Il 15 febbraio 1944 il monastero fu ridotto in macerie da 254 aerei Alleati con 570 tonnellate di bombe. Il sacrilegio era compiuto. La giustificazione addotta fu che il bombardamento venne intrapreso sulla base dell’informazione erronea secondo la quale il monastero fungeva da base di osservazione e difesa tedesca La ricostruzione del monastero di Montecassino, conclusasi in modo insolitamente rapido nel 1955, fu possibile soprattutto perché Schlegel aveva salvato anche tutti i progetti di costruzione.

Nel luglio 1944 Schlegel perse una gamba durante un bombardamento di caccia in Italia. Tornato nella sua casa a Vienna come mutilato di guerra, venne posto sotto processo e arrestato dagli Alleati con l’accusa vergognosa di saccheggio, ma alla fine fu assolto grazie alla testimonianza dei monaci di Montecassino che avevano accompagnato i trasporti a Roma. Venne a mancare nel 1958 presso la sua città natale. La storia di questi “Monuments Man” dell’altra parte, in primis Schlegel, ma anche il generale Conrath, gli autisti e senza dubbio i monaci, fu in parte narrata in un film del 1958, “I diavoli verdi di Montecassino”, quando l’industria cinematografica pur esplicitamente schierata, poteva permettersi di raccontare anche altre sfaccettature della realtà oltre a quelle della vulgata ufficiale. In Italia fu il benemerito vescovo Hudel ad invitare Schlegel a Roma, proponendogli, nel 1952, di venire a tenere due conferenze su Montecassino. L’abate Dr H. Peichl di Vienna, così si espresse sulla sua tomba nel giorno delle esequie:

A quest’ora, quando consegniamo alla terra ciò che era mortale in Te, le campane delle abbazie benedettine di tutto il mondo suonano per commemorare la Tua azione eroica, che non solo ha salvato il Monastero Madre dell’Ordine Benedettino da una perdita irreparabile, ma è stata anche la prova di quanto un uomo sia stato capace di fare del bene in tempi difficili e di sofferenza.”

Manuel Berardinucci

 

Il presente articolo è stato già pubblicato da:

https://ilmaccabeo.wordpress.com/2025/09/30/monuments-man-dall-altra-parte/?fbclid=IwVERDUANIbn1leHRuA2FlbQIxMAABHqhJl2wwDZKCaR8LGR62aZ9XZkLYPL_TzmhYueQ59OwQLHBzU2It9tmz29oL_aem_k-dNI8cQmGueTCHpaTKOqQ