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“La regola Basiliana dell’Ordine Costantiniano”. Il saggio di Attilio Mordini, “maestro dei segni” (di Vik van Brantegem)

In copertina: Seconda apparizione della Croce a Costantino, a Bisanzio

4 ottobre 2025

Nel 59° dalla morte di Attilio Mordini, Regina Equitum vuole ricordarlo attraverso uno dei suoi scritti più inerenti allo spirito ‘cavalleresco’ che lo informò per tutta la sua breve ma intensa esistenza.

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Il volumetto curato da Tommaso Romano, L’ordine Costantiniano di S. Giorgio. La regola di S. Basilio e altri scritti di Simbologia e Cavalleria (1960 – 1964) (Edizioni Thule 2017, 78 pagine, con l’Introduzione del Duca Don Diego de Vargas Machuca, Presidente della Real Commissione per l’Italia del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio), contiene una raccolta di scritti di Attilio Mordini, che comprende tre suoi saggi apparsi quasi sessant’anni fa su L’alfiere, rivista tradizionalista napoletana fondata e diretta da Silvio Vitale (L’Ordine Costantiniano, La regola Basiliana dell’Ordine Costantiniano e II Giglio, antico fiore dei Re); e l’articolo Carità Equestre, pubblicato su Ordo Pacis pour un front equestre international (Firenze 1962); oltre che una bibliografia delle monografie di e dei principali scritti su Attilio Mordini.

Di particolare importanza nella raccolta è il saggio La regola Basiliana dell’Ordine Costantiniano, alla quale è sottoposto appunto il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, che nei suoi dieci articoli racchiude tutte le virtù del Cavaliere Cristiano, derivata da quella dettata nel IV secolo da San Basilio (330-379) per i propri monaci. Essa venne stabilita nel 456 da Papa San Leone Magno, che confermò per l’ordine cavalleresco la regola monacense, affratellando, anche nel mondo cristiano, «le istituzioni del monachesimo e della cavalleria». Ciò sottolinea, come si legge nell’Introduzione del Duca Don Diego de Vargas Machuca, «la natura canonica della Sacra Milizia e quindi la sua vocazione prevalentemente religiosa».

Si tratta di un semplice Decalogo, che da Mordini è commentato e attualizzato:

  1. Meditare quotidianamente sulla passione di Nostro Signore e quindi digiunare il venerdì.
  2. Combattere per la Fede cristiana.
  3. Difendere la Chiesa e i suoi ministri.
  4. Portare le armi solo contro i nemici della Chiesa e dell’Impero.
  5. Sopportare le ingiurie e vivere con modestia.
  6. Portare su di sé il simbolo della Croce (e maneggiare solo spade a forma di croce e non sciabole.
  7. Vendicare (spiritualmente) la morte di Cristo.
  8. Soccorrere le vedove, gli orfani e i poveri.
  9. Obbedire ai superiori.
  10. Vivere castamente con la propria moglie.

Scrive Mordini: «La Regola Basiliana, letta, riletta e meditata, è per il cavaliere testo di autentica formazione interiore, igiene spirituale a tenerlo ben fuori del mondo moderno con tutta l’anima sua. “Ove è il tuo tesoro — dice Gesù — là è il tuo cuore” (Mt 6,21); e se il cuore del Cavaliere Costantiniano sarà costantemente sui precetti della Regola di San Basilio, su quei precetti formulati e scritti per uomini d’arme che vivevano in un mondo ancora degno di loro, sarà lontano dal mondo moderno e dalle moderne pompe di Satana (ben più insidiose di quelle antiche!), sarà lontano dal regno della Bestia, per vivere, nutrirsi e formarsi al Regno di Dio che ha dato il Suo Unigenito a redimerlo. Ed è appunto in hoc Signo, nel segno della Croce per la Redenzione universale, che (…) in questo decalogo consiste – ancora – tutta la virtù del milite cristiano e la salute per il conseguimento della patria eterna».

Mordini ci appare consapevolmente investito di un mandato etico nel testimoniare in particolare la Regalità di Cristo, centrale nella sua opera, per il suo intrinseco valore. Significativa la sua alta visione cavalleresca, espressa nelle sue pagine sul Sacro Militare Ordine Costantiniano. Nell’esempio di San Giorgio trae forza la missione di ogni Cavaliere Costantiniano, che opera nel segno della Croce, “segno del Cristo Messia e Imperatore”. Tanto che le sconfitte non lo devono scoraggiare: sono pegno, speranza “forte e sincera” di quella vittoria, cioè della Vittoria più grande, salvifica.
Mordini sottolinea infine come il Cavaliere Costantiniano, nell’osservanza dei suoi doveri verso questo Ordine, bene incarna laicamente quella Tradizione civile che è servizio, sacrificio, gratuità, e che verrà restaurata nei tempi ultimi da Cristo, quando il Re dei Re governerà tutte le nazioni in un mondo finalmente rinnovato.

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Attilio Mordini di Selva (Firenze, 22 giugno 1923-Firenze, 4 ottobre 1966), scrittore e teologo cattolico, di nobile famiglia fiorentina, portando a termine la sua istruzione primaria e secondaria presso istituti scolastici gestiti dagli Scolopi e dai Salesiani, sviluppando nel tempo un profondo attaccamento e devozione per la religione cattolica, aspetto che si rivelerà il perno della sua vita e della sua opera intellettuale.

Nel 1942 si arruolò volontario nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, destinato a Genova, presso la III Legione di artiglieria contraerea. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, rientrato a Firenze, si presentò al Comando di corpo d’armata, già occupato dai tedeschi. Assieme ad altri giovanissimi commilitoni, disorientato e amareggiato per l’assenza di ordini dei superiori, si arruolò nella Wehrmacht dove venne impiegato nel battaglione genieri della IV Panzer-Division. Destinato al settore centro del fronte orientale, in Ucraina, operò con compiti di guastatore e agevolando il movimento dei mezzi nel fango dall’autunno di quell’anno sino agli inizi dell’inverno, quando per un congelamento al piede fu dapprima ricoverato in un ospedale militare in Baviera, e poi rimpatriato agli inizi del 1944. Tornato a Firenze aderì alla Repubblica Sociale Italiana, e fu inquadrato nella Guardia Nazionale Repubblicana. Finita la guerra, dopo un periodo di prigionia, nel 1947 tornò alla casa in via San Gallo.

Agli inizi degli anni Cinquanta emise i voti di francescano laico presso il convento dei Cappuccini di Montughi, col nome di Fra’ Alighiero. Riprese in quegli anni gli studi universitari. Si iscrisse alla Facoltà di Magistero, nel corso di laurea in Lingue e letterature moderne, laureandosi a pieni voti con una tesi in Letteratura tedesca, sotto la guida del germanista Vittorio Santoli. Nello stesso periodo seguì i corsi della Pontificia Università Gregoriana.

Fra il 1964 e il 1965 ricoprì l’incarico di apprezzato lettore di Lingua e letteratura italiana presso l’Università di Kiel, nella Germania settentrionale. In quegli anni collaborò alla rivista di teologia e scienza delle religioni Kairos, diretta da Matthias Vereno, edita dai Benedettini di Salisburgo. Inoltre, collaborò alla rivista di ambito simbolico, mitologico e letterario ad Antaios, curata da Mircea Eliade ed Ernst Jünger.

Fino alla morte prematura, visse intensamente il mondo culturale fiorentino, frequentandone i circoli, come quello attorno alla rivista L’Ultima, di cui fu redattore, ultimo arrivato tra gli Ultimi su invito di Adolfo Oxilia, con il benestare del fondatore Giovanni Papini. Inoltre, collaborò a varie pubblicazioni di indirizzo cattolico come L’Alfiere, Il Ghibellino, Carattere e Adveniat Regnum.
Fu in rapporto collaborativo ed epistolare con esponenti del mondo culturale, laico e cattolico, tra cui Giovanni Cantoni (fondatore di Alleanza Cattolica), Giano Accame, Gianni Baget Bozzo, Fausto Belfiori, Titus Burkhardt, Alfredo Cattabiani, Carlo Lapucci, Adolfo Oxilia, Silvano Panunzio, Arnaldo Pini, René Pechère, Pietro Porcinai, Primo Siena, Adriana Zarri, Sergio Quinzio e Hans Urs von Balthasar.

Autore della voce Il lavoro in luce cristiana della Moderna Enciclopedia del Cristianesimo (Edizioni Paoline 1963), nei suoi scritti ha analizzato, in una sintesi personalissima interpretazione cristocentrica della Storia, l’iter della civiltà cristiana dall’Incarnazione ad oggi. L’esperienza del sacro, coltivata dalla meditazione e dalla preghiera, unita alla sete di conoscenza e alla consapevolezza della vocazione per la verità e la carità, la trasmise a un gruppo di amici più giovani, che costituirono cenacoli intitolati a Maria: Ianua Coeli (Porta dal cielo) e Turris Eburnea (Torre d’avorio).
Come ha scritto Rodolfo Gordini, Attilio Mordini «lesse la vicenda umana alla luce del Verbo. Impose alla propria vita lo stigma ascetico e cavalleresco; scandì la giornata terrena con lo studio e la militanza civile. […] Araldo del vero, non godette degli onori del mondo e ne menò giustamente vanto. Insieme alle opere, lasciò in eredità un’esemplare testimonianza resa all’unico e personale Creatore». I suoi scritti, a quasi un secolo dalla nascita, testimoniano intatto quel suo sguardo che seppe scrutare «il trasfondersi dell’eterno nel tempo».

Anche quando la rivista L’Ultima dovette chiudere, verso la fine della sua vita, egli continuò a esercitare una discreta ma profonda influenza su un cenacolo culturale e spirituale di giovani e meno giovani intellettuali, che si riuniva ogni giovedì nei locali di una cappella sconsacrata in via della Pergola. Il più brillante e colto di tutti era Franco Cardini, che avrebbe sempre riconosciuto a Mordini un ruolo determinante nella sua formazione culturale, soprattutto nella sua autobiografia intellettuale, L’intellettuale disorganico.

Dopo una vita di sofferenze e di dolori, morì a Firenze il 4 ottobre 1966, festa di San Francesco di Assisi, a soli quarantatré anni, e fu sepolto con lo scapolare francescano.