
Anonimo, Il porto di Livorno con le galere di Santo Stefano (XVII secolo; olio su tela, Pisa, Archivio di Stato)
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In occasione della ricorrenza della Battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571, ricordiamo uno fra i tanti Ordini cavallereschi che versarono il sangue nelle acque del mar Egeo per difendere l’Europa cristiana dall’invasore ottomano-islamico. Quest’oggi ricordiamo una formazione toscana che in poco tempo fu armata e messa in mare allo scopo di contribuire allo sforzo bellico della Lega Santa indetta dal santo pontefice Pio V. I Cavalieri di Santo Stefano furono infatti la formazione navale del Granducato di Toscana. La loro base si trovava a Pisa dove ancora oggi sorge la Chiesa dei Cavalieri nell’omonima piazza. Dentro la chiesa pisana si possono ammirare i vessilli e i costoloni delle navi ottomane catturate, compreso il vessillo della “Sultana” riportato in Italia come trofeo e testimonium della vittoria della Fede di Cristo sulla mezzaluna insanguinata.
Per i Cavalieri di Malta, la guerra di corsa contro i pirati barbareschi e la Battaglia di Lepanto furono in certo qual modo l’ultimo capitolo di una storia antica di secoli di un confronto armato contro l’Islam. Non così è stato per il nuovo Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano, l’altra forza in campo contro i musulmani con vocazione marittima[1]. Tale Ordine nasce, infatti, negli anni sessanta del XVI secolo proprio a causa della massima espansione e importanza che le forze turco-barbaresche assunsero nel Mediterraneo e il suo mecenate, nonché inventore, fu Cosimo I de’ Medici che lo concepì, in una forma analoga a quella dei Cavalieri di Malta, nel clima di paura che accompagnò le coste italiane in seguito alla presenza di una grossa flotta navale ottomana nel Tirreno, tra il 1555 e il 1558. In verità, nella mente di Cosimo si fece strada l’idea non solo con l’intento di controbattere efficacemente l’offensiva corsara dei pirati barbareschi, ma con l’ambizione di dotarsi di un valido strumento militare che gli permettesse di utilizzare in chiave politica ed egemonica tutti quegli spazi che le grandi potenze occidentali avrebbero lasciati scoperti in una siffatta guerra marittima. In altri termini l’idea era quella di dotare la Toscana medicea di un ruolo marittimo-militare che gli consentisse di entrare a far parte degli alleati della Spagna con tutti i vantaggi che avrebbe comportato. Nelle intenzioni di Cosimo il nuovo Ordine militare avrebbe dovuto avere altre due importanti funzioni: quella di produrre uno stabile legame con la Santa Sede e quello di stabilire un forte ed infrangibile legame tra la propria dinastia medicea e le forze migliori e nobili della società toscana, poiché un Ordine cavalleresco proprio avrebbe potuto produrre un’istituzione nobiliare di alto rango, in grado di supportare e le diverse oligarchie nobiliari e le istanze del principe[2].
L’Ordine ebbe la prima autorizzazione dal Papa Pio IV nell’ottobre 1561 ed assunse il nome di Sacro militare Ordine marittimo dei Cavalieri di Santo Stefano in onore a due vittorie medicee – quella di Scannagallo del 1554 e quella di Montemurlo del 1557 – che curiosamente furono ottenute entrambe in un giorno particolare, ovvero il 2 agosto, ricorrenza di Santo Stefano papa e martire. Gli statuti dell’Ordine furono approvati dalla Santa Sede nel gennaio del 1562 ed il 15 marzo successivo, nel Duomo di Pisa, avvenne la proclamazione pubblica dell’istituzione, durante una solenne cerimonia religiosa nella quale Cosimo in persona indossò l’abito del Gran Maestro dell’Ordine. L’emblema dell’Ordine fu una croce rossa a otto punte in campo bianco e la sede fu fissata, sempre a Pisa, nella chiesa conventuale detta oggi “dei Cavalieri” e nel Palazzo della Carovana, oggi sede della Scuola Normale Superiore, in cui i Cavalieri dovevano frequentare i corsi di istruzione per i futuri impegni militari e navali della durata di tre anni. Gli statuti dell’Ordine erano simili a qualunque altro Ordine militare: la duplice natura religiosa e militare; l’ammissione al suo interno riservata alla nobiltà di nascita o a chi, qualora se non di nobili natali, possedesse un patrimonio che gli consentisse di finanziare una commenda all’interno dell’Ordine stesso; i voti di castità, di obbedienza e di povertà; l’affiancamento degli ecclesiastici come Cappellani, se non erano nobili, o come Cavalieri Militi Sacerdoti, se erano di nobili natali. Il comando della flotta era distino da quello delle forze terrestri: all’Ammiraglio Generale delle galere era riservata l’arma navale, mentre al Gran Conestabile erano affidate le truppe da sbarco. L’organo centrale di controllo e di dirigenza era affidato ad un Consiglio di dodici cavalieri di provata esperienza e di capacità ritenute indiscusse.
Il debutto militare avvenne nel luglio del 1563, quando i Cavalieri di Santo Stefano navigavano insieme ad altre navi toscane e spagnole come scorta nei pressi delle acque vicine alla Catalogna. In quel frangente una galera dell’Ordine si allontanò alquanto dalle altre navi e fu sopraffatta da due imbarcazioni pirata musulmane. A parte l’infelice inizio dell’attività militare dell’Ordine, i Cavalieri di santo Stefano non esitarono ad affiancare le flotte cristiane negli episodi più importanti della grande guerra cinquecentesca contro i musulmani e, tra questi, contribuirono con 10 galere alla difesa di Malta (1565) e alla battaglia di Lepanto (1571), nella quale erano presenti con 12 unità, anche se molti di essi combatterono inquadrati nella squadra navale pontificia. Fu dopo Lepanto che lo schema operativo di pattugliamento continuo del Tirreno contro le unità barbaresche si venne delineando; in tale contesto degna di essere menzionata è l’impresa dell’Ammiraglio Tommaso de’ Medici, il quale catturò – siamo nel 1586 – di fronte a Paola in Calabria nientemeno che la galera di Simain Rais, un audace pirata musulmano che con la sua flotta aveva condotto numerose scorrerie devastando i dintorni.
Agli inizi del XVII secolo la strategia dell’Ordine cambiò e da un atteggiamento prevalentemente difensivo si trasformò in offensivo, non limitandosi ad aggredire le navi nemiche musulmane, ma cominciando a compiere imprese anfibie ed incursioni contro fortezze e città costiere nell’Egeo, nel vicino Oriente e in Barberia. Il primo di questi obiettivi fu il centro ellenico di Prevesa e lo sbarco delle truppe avvenne di notte il 3 maggio 1605, con aspri e rapidi combattimenti che si conclusero con la conquista della roccaforte da parte dei Cavalieri rosso-crociati. Durante l’impresa ebbe modo di mostrare tutto il suo valore un volterrano di nome Iacopo Inghirami, che ben presto fu elevato alla carica di Ammiraglio Generale e fu proprio sotto la sua guida che l’Ordine raggiunse il suo massimo in termini di efficienza militare, protraendosi fino al 1623. Tra le molte imprese dell’Ammiraglio Inghirami, tutte incoronate da vittorie, la sua maggior fama la contrasse alla presa di Bona[3], oggi chiamata Annata, in territorio algerino, dotata di una possente cinta muraria con numerosi torrioni e difesa naturalmente da scogli che si affacciavano sul versante marittimo, tali da renderlo pressoché inaccessibile. La flotta dei Cavalieri di Santo Stefano, che constava di 9 galere e altre navi da trasporto, prese il mare dal porto di Livorno al termine dell’agosto 1607 per giungere sull’obiettivo all’alba del 16 settembre. Subito, prima ancora che facesse giorno, Inghirami ordinò una complicatissima opera di sbarco che, in virtù della sorpresa, terminò nell’attacco alla fortezza che sovrastava la città. Nell’attacco le cronache registrano solo 17 caduti tra i cavalieri, mentre i musulmani capitolarono lasciando sul terreno 70 morti e 200 prigionieri tra uomini e donne. I combattimenti continuarono all’interno delle mura cittadine, dove la difesa fu accanita, ma si protrassero finché la città venne occupata, anche se gli ultimi difensori si trincerarono nella moschea del luogo, a sua volta espugnata in un secondo tempo dai nostri Cavalieri. Il sacco di Bona – estremamente celebrato dalla dinastia medicea – fu il maggior successo dell’Ordine contro il Maghreb barbaresco.
Nei decenni successivi si ebbero altre imprese, più o meno grandiose, e a partire dal 1645 l’Ordine dei Cavalieri di santo Stefano combatté al fianco dei veneziani nella guerra di Candia, senza per questo smettere di pattugliare il mar Mediterraneo, raccogliendo tra l’altro svariati altri successi.
Alla fine del ‘600 la marina dell’Ordine iniziò un inevitabile tramonto, che si protrasse fino al 1747 con la morte del Granduca Gian Gastone a seguito della quale si estinse anche la dinastia medicea. I trattati di pace, nel periodo dal 1747 al 1749, del governo toscano con l’Impero ottomano e gli Stati Barbareschi, esaurirono anche il fondamento su cui si era sostenuta l’iniziativa militare dell’Ordine, che fu definitivamente soppresso nel 1809 per volontà dei Francesi e restaurato nel 1817, sebbene rimanendo ad un livello puramente formale.
Stefano Banti
[1] Per la Storia dei Cavalieri di Santo Stefano cfr. G. C. Guarnieri “I Cavalieri di Santo Stefano nella storia della Marina militare italiana”, Ed. Nistri-Lischi, Pisa 1960 e G. C. Guarnieri “L’Ordine di Santo Stefano nei suoi aspetti organizzativi tecnici-navali sotto il gran magistero mediceo”, Ed. Giardini, Pisa 1965.
[2] Cfr. F. Angiolini “I cavalieri e il principe: l’Ordine di Santo Stefano e la società toscana in epoca moderna”, Ed. Edifir, Firenze 1996.
[3] Cfr. M. Gemignani “Il Cavaliere Iacopo Inghirami al servizio dei granduchi di Toscana”, Ed. ETS, Pisa 1996.